La fotografia stenopeica di Stefano Marcovaldi – Quarta parte

ESPOSIZIONE

Tempi lunghi

Con un esposimetro esterno o una macchina reflex tradizionale, misuriamo la luce della scena da riprendere, supponiamo di avere la coppia tempo diaframma 1/125sec a f/11 con pellicola da 100 Iso. Quanto tempo dovremo esporre se abbiamo un foro stenopeico da, ad esempio, f/166? Nessun esposimetro ha una scala di diaframmi tanto ampia da arrivare a queste aperture. La soluzione è piuttosto semplice e consiste nel realizzare un regolo calcolatore, per convertire i dati dell’esposimetro della fotocamera o dell’esposimetro esterno, nei valori idonei per esporre correttamente con il foro stenopeico.

 La soluzione consiste nel ritagliare le due strisce, e facendole scorrere tra di loro si otterrà un regolo calcolatore, per determinare l’esposizione anche dei diaframmi più chiusi di quelli “canonici”. Se ad esempio la coppia tempo diaframma suggerita dall’esposimetro fosse 1/125sec a f/11, la corrispondente coppia tempo diaframma che leggeremo sul regolo sarà per un diaframma f/166 di 8 secondi e il gioco è fatto. Quando si presenta delle esposizioni lunghe si rende necessario allungarle ulteriormente con una cosa chiamata “difetto di reciprocità” delle pellicole. Il difetto di reciprocità si manifesta con qualsiasi emulsione fotografica quando si esce dal campo di normale utilizzo della pellicola, cioè per tutti i tempi compresi tra 1/1000 ed 1/4 di secondo. Quindi il problema non riguarda solo i tempi lenti o lentissimi.

Cosa succede quando si esce da quell’intervallo?

Il minimo che può capitare è di sottoesporre, ma poi subentrano anche cambiamenti del colore e del contrasto. Questo perché la rapidità effettiva di una emulsione fotografica varia in funzione del livello di illuminazione e del tempo di esposizione. Ogni emulsione ha la maggiore risposta ad un particolare livello di illuminazione e ad entrambi gli estremi di questo livello la risposta decresce ed è necessaria una esposizione addizionale per ottenere quella giusta.

La legge di reciprocità  

Dato che stiamo parlando di un “difetto” dobbiamo tenere presente la legge che non viene rispettata. Esiste, quindi, una legge di reciprocità che mette in relazione tutte le coppie tempo/diaframma in grado di fornire la stessa esposizione. Per esempio, una esposizione di 1/125 ed F/8 è equivalente ad una esposizione di 1/30 ed F/16, salvo una diversa profondità di campo ed un eventuale rischio del mosso. Continuando a formare tutte le coppie tempo/diaframma equivalenti, si arriverà ad avere un diaframma molto chiuso ed un tempo molto lento. Quest’ultima coppia non sarà più valida per avere una giusta esposizione ed occorrerà apportare le dovute correzioni, quindi MANCA LA RECIPROCITA’.

La legge di reciprocità è valida per la maggior parte delle pellicole in bianconero con tempi di esposizione compresi tra 1/4 ed 1/1000 di secondo, mentre per le pellicole a colori il campo è più ristretto (tra 1/10 ed 1/750).

FACTORS FOR ILFORD FILMS
FilmFactor
SFX1.43
Pan F+1.33
D1001.26
D4001.41
D32001.33
FP4+1.26
HP5+1.31
XP21.31
K1001.26
K4001.30

Quindi, ad esempio usando una pellicola con sensibilità 125 ISO (FP4). Il nostro esposimetro ci darà il tempo misurato (indicato) di 10 secondi: 10 ^1,26 = 18,20 secondi [ il carattere ^ è un operatore esponeziale ]
Arrotondando questo risultato si ottiene un’esposizione di 18 secondi.

Tabella per valori da 1” a 60” per pellicola FP4

FP4+ 125 ISO
FP4+ 125 ISO
tempo esposimetro secondi^1,26tempo esposizione secondi
tempo esposimetro secondi^1,26tempo esposizione secondi
1 1
31 76
2 2
32 79
3 4
33 82
4 6
34 85
5 8
35 88
6 10
36 91
7 12
37 95
8 14
38 98
9 16
39 101
10 18
40 104
11 21
41 108
12 23
42 111
13 25
43 114
14 28
44 118
15 30
45 121
16 33
46 124
17 36
47 128
18 38
48 131
19 41
49 135
20 44
50 138
21 46
51 142
22 49
52 145
23 52
53 149
24 55
54 152
25 58
55 156
26 61
56 159
27 64
57 163
28 67
58 167
29 70
59 170
30 73
60 174

Piccola Bibliografia

Eric RennerPinhole Photography – Rediscovering a Historic Technique   Third Edition
Ed. Focal Press
Eric RennerPinhole Photography – From Historic Tecnique to Digital Application Edition 4
Ed. Focal Press
Vincenzo Marzocchini  Marco Mandrici 
Camera Obscura. La Lentezza dell’IstantaneaEd. La Lanterna Magica
Luigi Cipparrone Vincenzo Marzocchini
Didattica della Fotografia stenopeicaEd. Le Nuvole
Luigi CipparroneSul Buco” Riflessioni e Considerazioni
Ed. Le Nuvole
Vincenzo MarzocchiniDalla Sihouette all’impronta” ritrovamenti e percorsi nella storia dell’arte e della letteratura
Ed. Le Nuvole
Vincenzo MarzocchiniAUTORI esperienze di fotografia stenopeica
Ed. Le Nuvole
Vincenzo Marzocchini A cura diLa Fotografia Stenopeica in Italia” Storia tecnica estetica delle riprese stenopeiche
Ed. Clueb
Luigi Cipparrone Vincenzo MarzocchiniPINHOLE ITALIA 2009” autori, immagini, strumenti della fotografia stenopeica in italia
Ed. Le Nuvole
Enrico Maddalena“Come cavare una foto da un buco” FOTOGRAFIA STENOPEICA – manuale completo ed approfondimento per conoscerla e praticarlaEd. FIAF
Irene CampanaLa Fotografica stenopeica. Storia ed evoluzione di una tecnica.  – Tesi di laurea in Storia e Tecnica della Fotografia – Università di Bologna, Facoltà di conservazione dei Beni Culturali – a.a. 2003/2004

©stefano marcovaldi

La fotografia stenopeica di Stefano Marcovaldi – Terza parte

LA COSTRUZIONE

Come Fare i fori

Abbiamo visto che la parte principale, il nostro obiettivo, è il Foro (in inglese Pinhole).

Su un manuale di fotografia dei primi anni dello scorso secolo ci sono gli studi e le misurazioni condotte da uno studioso di nome Combe, il quale aveva calcolato esattamente il diametro di alcuni aghi inglesi che si trovano tuttora in commercio nelle mercerie.

Ecco qualche esempio di misurazioni riportate:

gli aghi “n.12 super” hanno uno spessore di 0,33mm,

gli aghi “n.11 super” di 0,38mm

gli aghi “n.10 super” di 0,46mm

gli aghi “n. 9 super “ di 0,52mm

gli aghi “n. 7 super “ di 0,60mm

gli aghi “n. 6 super “ di 0,72mm

gli aghi “n. 4 super “ di 0,81mm

gli aghi “n. 3 super “ di 0,92mm

 gli aghi “n. 2 super “ di 1mm

Antica Tabella indicata da Luigi Sassi.

Per i migliori risultati, il materiale di partenza che si adopera per realizzare i fori è un sottilissimo foglio di ottone da 0.030mm di spessore che si trova in commercio in varie misure col nome di carta di Spagna.

Realizziamo un foro Stenopeico

Materiali

ago da cucito 

materiale spessorato in ottone sottile

cartone

carta smerigliata

1)  Si ritaglia un quadrato d’ottone da 2,5cm circa per lato e lo si adagia su un pezzetto di cartone

2) Spingere delicatamente l’ago da cucito sull’ottone, ma non completamente, per produrre una piccola protuberanza sul lato opposto della piastrina.

3) Muniamoci ora di carta abrasiva molto fine e strofiniamo la protuberanza con mano leggera avendo l’accortezza di girare il foglietto d’ottone con una certa regolarità, fino a che rimane uno strato sottilissimo di metallo, che finalmente andiamo a perforare con la sola punta di un ago il cui diametro sia certo.

4) Ripetere i passaggi 2 e 3 finché non viene prodotto un foro molto piccolo

Il foro è così realizzato

È possibile, con la pratica, produrre un foro stenopeico migliore rispetto ai processi laser commerciali. Questo è perché i bordi del foro stenopeico sono arrotondati, consentendo un campo visivo leggermente migliore. 

Ora dopo il foro bisogna costruire la Scatola che può essere di carta o di legno oppure adattare macchine fotografiche anche digitali con un coperchio corpo macchina modificato.

Terminata la realizzazione andiamo ad esporre la pellicola o la carta di stampa con metodi e tempi assai diversi tra loro, dovuti alle varie sensibilità ISO di questi supporti.

©stefano marcovaldi

Il reportage fotografico di Stefano Marcovaldi

(terza ed ultima parte)

Le immagini fanno parte di un reportage realizzato da Stefano Marcovaldi a Roma, in piazza del Popolo, dall’etnia Igbo per chiedere l’indipendenza del Biafra dalla Nigeria (30 maggio 2018)

Idee per un Reportage

Le idee per un buon reportage sono infinite, ed anche se ormai quasi tutti i settori della società sono stati esplorati, si possono sempre riprendere per approfondirli ulteriormente. 

Alcuni spunti ed esempi per iniziare un nuovo reportage potrebbero essere:

Reportage ambientale: raccontare una storia relativa ai luoghi dove si vive e che coinvolga l’ecosistema, come un bel lago è diventato una discarica liquida a cielo aperto, o peggio ancora come la fauna di una zona stia scomparendo sotto il peso della moderna urbanizzazione; 

Reportage di guerra: mostra la vita dei militari, la loro relazione con la popolazione civile, il modo di approcciarsi con i luoghi e con i contesti, la sofferenza e la voglia di evadere della popolazione locale; 

Reportage di viaggio e folklore: partire da un luogo per giungere ad un altro raccontando tutto quello che un osservatore potrebbe o dovrebbe vedere, il folklore, la gastronomia, il trasporto, i luoghi, l’ambiente, la società e i costumi; 

Reportage sociale: dall’immigrazione clandestina, alla malasanità, dalle rivolte popolari nei quartieri disagiati, alla belle epoque moderna dei quartieri residenziali, alle varie manifestazioni e cortei di protesta; 

Reportage medico scientifico: racconta la vita tecnica di un farmaco, l’evoluzione di una malattia, le cause e gli effetti di una cura, le conseguenze del cambiamento climatico. 

Insomma migliaia d’idee possono offrire lo spunto per realizzare reportage, perfino il proprio quartiere potrebbe costituire un’idea valida, ma solo, come già detto, se le immagini parlano di qualcosa che altri non hanno ancora detto o diversamente offrano uno spaccato di vita e di circostanze che nessuno ha mai guardato in quel nuovo modo.

Più reportage si realizzano, più la capacità tecnica e creativa di raccontare aumenterà.

Stefano Marcovaldi

Reportage fotografico di Stefano Marcovaldi

(seconda parte)

Le immagini fanno parte di un reportage realizzato da Stefano Marcovaldi a Roma, in Piazza del Popolo, dell’etnia Igbo per chiedere l’indipendenza del Biafra dalla Nigeria (30 maggio 2018)

Nel Reportage la Qualità Conta più della Quantità

Finalmente abbiamo una storia per le mani? Benissimo, adesso è da porsi la domanda: come la racconto? Mostro alcuni aspetti di natura tecnica che aiuteranno, senza dubbio, a delineare i contorni di un buon reportage fotografico. La prima cosa di cui dobbiamo parlare è il numero delle foto; come già accennato il numero d’immagini non aumenta la qualità della fotografia di reportage. La maggior parte dei lavori seri ha un numero di scatti che varia sensibilmente tra i 20 e i 40. La foto che apre il reportage è sicuramente una delle più importanti (insieme all’ultima) poiché è quella che deve catturare fin da subito l’attenzione dell’osservatore. La prima foto di un reportage determina il successo del racconto, chi è attratto dalla prima immagine, guarderà anche la seconda e cosi via. Tutte le foto devono essere dotate di una certa autonomia, cioè devono essere in grado di parlare sia da sole sia nel contesto di tutto il reportage. Da qui nasce la necessità di strutturare il lavoro in modo di emozionare con la prima immagine e far riflettere con l’ultima. Non dimentichiamo che nel reportage è necessario cercare spunti; non sempre c’è la possibilità di affidarsi alle regole di composizione, poiché un evento di solito è irripetibile, quella stessa scena non la si rivive mai più. Mentre nel ritratto, si possono aggiustare le luci, ombre, tempi,  nelle riprese di un reportage queste sono quasi mai possibili da gestire, la foto perfetta per il reportage arriva quando non te lo aspetti.

Aspetti tecnici della fotografia di reportage

La creatività è fondamentale, ma la tecnica è essenziale. Possedere una buona tecnica e avere una profonda conoscenza dei tagli, dei piani, della composizione è sicuramente un vantaggio. Se si è sviluppato o educato l’occhio difficilmente sbaglieremo , ed avendo una corretta cognizione dell’inquadratura, ogni momento sarà quello giusto per lo scatto. Le regole tecniche dell’arte fotografia non possono prescindere dalla creatività. Certo una bella foto creativa che parla è sempre da preferirsi a una foto tecnicamente perfetta che non dice nulla.

Come organizzare il reportage

Mettere a posto le idee significa puntare ad ottenere un lavoro di qualità.

Adesso alcuni consigli, per dare un senso al reportage:

  • Valutare attentamente l’argomento che si intende trattare, considerando il suo impatto sull’osservatore, la sua attualità e la sua utilità sociale;
  • Optare per concetti ed idee che si possano rappresentare fotograficamente con facilità o che siano misurabili in termini di contenuto;
  • Prendere in considerazione argomenti conosciuti o di cui hai già una un’opinione ben delineata, è sempre meglio evitare parlare di cose di cui non si ha benché la minima idea;
  • Evitare, per quanto possibile, reportage che non possano essere raccontati con il bagaglio tecnico posseduto (scarse attrezzature, poche competenze tecniche riguardo l’arte fotografica, scarso accesso alle risorse fotografiche);
  • Cercare di dare un senso alla lettura delle immagini ed evitare, di mischiare il senso orizzontale e verticale delle immagini, in questo modo si darà una continuità di formato al reportage;
  • Offrire un ciclo di vita all’osservatore: partire da un’immagine per raggiungerne un’altra seguendo una logica ideale; prevedere un inizio e una fine che abbiano un senso cronologico reale e possibile. Alcuni scatti potrebbero variare la loro posizione di collocazione nell’ambito del reportage, ma solo se hanno un senso del tempo accettabile e credibile;
  • Esaminare ogni scatto nel contesto del reportage. La migliore scelta è di privilegiare le immagini che aggiungono al reportage un’informazione aggiuntiva rispetto agli scatti precedenti;
  • Essere coerenti. Le immagini, quando connesse tra di loro, dovrebbero dare il senso della precedenza e della conseguenza alle altre immagini complementari; niente è meno credibile di un reportage incoerente;
  • Evitare sempre e comunque le ripetizioni. Non dovrebbe mai esserci in un reportage serio un’immagine uguale, affine, sussidiaria o surrogata a un’altra immagine già ripresa, l’essenzialità del reportage è una dei fattori chiavi di successo;
  • Pensare coerentemente le didascalie ed i titoli, se si decide di servirsene; ogni didascalia dimostra una scelta, un concetto, un’idea che il fotografo vuole “dichiarare”; se i titoli didascalici non convincono o sono pensati a casaccio è meglio mantenere la foto senza titolo, l’osservatore lo troverà da se;

Potrebbero esserci altri accorgimenti da prendere in considerazione, tuttavia quelli sopra rappresentati dovrebbero bastare.Il reportage fotografico, rimane ancora uno dei più difficili lavori di fotografia, poiché tecnica, creatività e momento fotografico devono trovarsi tutti insieme, su un’unica linea perfetta, nel medesimo istante in cui lo scatto avviene per far si che tutto abbia veramente senso.

Stefano Marcovaldi

Reportage Fotografico di Stefano Marcovaldi

di Stefano Marcovaldi

REPORTAGE FOTOGRAFICO – Prima parte

Il reportage è un genere fotografico con regole precise, un racconto giornalistico che preferisce la testimonianza diretta.Il racconto che ci si appresta a realizzare deve avere una qualche forma adatta alla pubblicazione sui giornali.
Si desume che ciò che è fotografato sia stato frutto dell’analisi e dall’indagine personale del creatore. Ciò che è riportato o fotografato dovrebbe essere la documentazione di eventi veri e spontanei senza alcun intervento o manipolazione. Ciò non significa che la realtà non possa essere interpretata ma la base dev’essere spontanea, non elaborata o costruita. Siamo alla presenza di quando gli avvenimenti che si raccontano sono identificabili geograficamente e storicamente. Non è un racconto di fantasia, ma un susseguirsi di eventi legati tra di loro da un filo conduttore unico, con un inizio e una fine. Attraverso la fotografia, il fotografo deve guardare ed analizzare quello che accade intorno a lui in un preciso momento, collocando la ripresa che ne risulta in una dimensione logica e narrativa, facilmente comprensibile da chiunque. Un reportage fotografico è una ricostruzione storica un racconto fatto d’immagini con un senso compiuto in grado di suscitare emozioni, scalpore, sgomento, sconcerto; con esso puoi stimolare una reazione, puoi accendere una provocazione. Questo lavoro ha un regista, uno sceneggiatore e un autore della storia che coincidono tutti in unica persona: il fotografo, ed è lui l’unico responsabile del reportage a dare un senso tecnico, estetico e narrativo alla storia che sta per raccontare con le immagini.

La Base del Reportage Fotografico

Come già detto il reportage assomiglia a un libro che parla attraverso le immagini fotografiche. Per comporre questo libro bisogna prendere in considerazione questi aspetti:

  • Raccontare la verità;
  • Sintetizzare la realtà;
  • Costruire l’immagine;

La verità inconfutabile la si racconta con immagini reali, quindi a priori un reportage non dovrebbe raccontare quello che il fotografo vuole, ma ciò che le circostanze che egli vive e vede raccontano. Per questo ci si deve avvalere della sintesi, ossia quella capacità di condensare il tutto in pochi e scelti scatti che parlino di un unico argomento, dove ogni immagine è un preciso pezzo di tutta la storia che si vuole raccontare piuttosto che un’infinità di scatti a volte anche inutili.

Una volta posseduto il progetto, si passa a cercare di capire cosa più serve alla costruzione della storia da raccontare, fuorché della fotocamera, si potrebbe non avere bisogno di tanta attrezzatura, tuttavia si deve anche prevedere scatti pensati attorno alla realtà che circonda, avere a disposizione focali lunghe e corte è l’ideale, in modo da dare una dimensione corretta a tutta la scena da riprendere, ed in ogni caso l’organizzazione di quello che più serve (obiettivi,cavalletti,flash, pannelli riflettenti….) va pianificata con molta attenzione,  prima di iniziare il reportage e non durante il corso d’opera. Che sia un fatto storico, un’indagine giornalistica, un viaggio, un racconto di una vita sociale, un lieto evento o un fatto di cronaca ciò non toglie che il reportage debba avere un’adeguata preparazione preliminare e una pianificazione dettagliata di tutto quello che sarà. Alla base del reportage fotografico c’è la pianificazione e senza di essa si può incorrere nel rischio che, pur avendo avuto idee e intuizioni interessanti, il lavoro finale potrebbe non restituire l’impatto emotivo che ci si aspettava.

Giacomelli/Burri. Fotografia e immaginario materico di Stefano Marcovaldi

Dal 01 Luglio 2021 al 26 Settembre 2021

SENIGALLIA | ANCONA

LUOGO: Palazzo del Duca

INDIRIZZO: Piazza del Duca 1

Dal primo di Luglio si aprirà a Senigallia una mostra su due grandi artisti del Novecento Giacomelli e Burri.

Le vite di Mario Giacomelli e Alberto Burri si sono intrecciate negli anni più volte, in un rapporto di reciproca stima e ammirazione che è confluito in una ricerca comune, che questa esposizione vuole indagare ponendo in dialogo le loro opere sia di pittura che fotografiche. Intorno al 1966 avviene il primo incontro tra i due, grazie all’intercessione di Nemo Sarteanesi – pittore, intellettuale e amico di Burri – che casualmente conosce Giacomelli a Senigallia.

La mostra di Palazzo del Duca a Senigallia propone un importante nucleo di fotografie che Mario Giacomelli dedicò ad Alberto Burri e Nemo Sarteanesi e che appartengono ai fondi della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri e agli Archivi Giacomelli e Sarteanesi.

Mario Giacomelli scatterà tutte le sue foto, sempre, con una unica macchina fotografica.

Una corpo macchina artigianale comprata nel 1955 da Tarini a Milano e che utilizzò fino all’anno 2000.

KOBELL PRESS” questo è il nome.

Progettata dal fotografo Luciano Giachetti con la collaborazione dell’artigiano milanese Boniforti,costruita poi in soli 500 esemplari dalla ditta di Agostino Ballerio, fu inizialmente dotata di un obbiettivo Voigtlander color-heliar 1:3,5/105.

I fotografi vicini a Giuseppe Cavalli (Gruppo Misa) avevano scelto di dotarsi di questa macchina di fatto assemblata ad personam.

Era stata pensata per il fotoreportage giornalistico, riuscendo ad unire le pellicole negative medio formato delle rolleiflex e la flessibilità delle ottiche intercambiabili Leica. Tra gli autori che a scopi artistici avevano ed usavano la Kobell, oltre Giacomelli, c’erano, Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni, Renzo Tortelli e, su consiglio e raccomandazione di Giacomelli, anche Duilio Barbaresi, suo amico, celebrato parrucchiere senigalliese, esperto ed appassionato di fotografia. 

Ma  come nacque questa mitica Macchina fotografica?

La Leica è stata il grande amore del fotografo Luciano Giachetti, detto Lucien e se la portò dietro al reparto di cinematografia militare di Torino, al quale era stato assegnato.

Quando, all’indomani del 25 aprile 1945, i soggetti fotografici stavano mutando, la Leica mostrò forse i suoi anni. Nonostante il lungo stato di servizio, le caratteristiche principali di questa macchina ormai passata alla leggenda erano rimaste inalterate. Ma le esigenze della cronaca, della registrazione continua ed incalzante sulla pellicola della vita nei primi due anni di pace, aumentavano in modo preponderante. Occorreva passare dal formato 24 per 36 al formato 6 per 9 caratteristico della Rolleiflex. Tuttavia era anche necessario continuare a disporre di obiettivi di grande precisione e versatilità. Giachetti, nel frattempo stabilitosi a Vercelli, con un anno di lavoro paziente, dal 1946 al 1947, mise a punto una macchina che rispondesse ai requisiti voluti.
“Il problema – rammenta – era di fondere la Leica con una delle macchine da fotocronaca che erano comunemente adoperate dagli americani e che durante la guerra erano state date in dotazione anche ai reparti specializzati degli eserciti italiano, tedesco, francese”.
Il risultato di un lavoro fatto di innumerevoli viaggi fra Vercelli e Milano, di continue prove e di non poche delusioni, prese il nome di Kobell, che in tedesco vuol dire mescolanza. Infatti, quel pezzo unico al mondo, oggi custodito gelosamente e che figurerebbe bene in un museo internazionale della fotografia, aveva gli obiettivi Zeiss, l’otturatore a tendina e il mirino propri della Leica. Però le altre parti erano della tedesca Plaubel, cosicché fu possibile ottenere fotogrammi 6 per 9 di alta resa. “Tutta la mia attività di fotocronista fino al 1957 – dice Giachetti – si basò sulla Kobell, mentre i miei colleghi usavano ormai quasi esclusivamente la Plaubel e la Rolleiflex.

La sua mitica Kobell, Giacomelli nel corso degli anni, nel farsi chiaro il suo stile, la personalizza cambiando l’obiettivo con un Eliar a diaframma tutto chiuso con tempi lunghi. Modifica il formato del negativo, 56×74 con rullino 6×6 e con rapporto 2/4 adatto per il formato della carta 30×40. L’aver modificato l’obiettivo, non più collegato con lo scatto, lo obbliga a fotografare unicamente con l’uso del cavetto. Certo non è la sua, una macchina per passare inosservati o per muoversi agili e cogliere l’attimo, è una macchina che detta tempi lenti (tra l’altro pesantissima), con cui il fotografo dialoga con la sua interiorità immettendosi nel mondo. Giacomelli ha modificato così fortemente il suo apparecchio che alla fine, della Kobell è rimasta solo la scatola: il mezzo tecnologico, in questo processo di metamorfosi, smette di essere un oggetto preconfezionato, per divenire parte dell’artista stesso e della sua forza creativa. Una sintonizzazione reciproca, che fa dire a Giacomelli: “Io il profumo che ha il fieno dopo la pioggia, l’ho imparato dopo che ho comperato la mia macchina fotografica”.

Divagazioni sulla fotografia di Stefano Marcovaldi

Oggi ci circondano, tantissime immagini, realizzate con molteplici strumenti, macchine fotografiche elaborate, semplici, usa e getta, telefoni cellulari e tanto altro. Come le consideriamo, come le giudichiamo o le critichiamo? Non è  importante il mezzo ma la finalità e il risultato. Ogni volta che si ammira una foto si sente dire: CHE BELLA FOTO!

Ma cosa si vuole dire, veramente, con questa affermazione? E’ corretta? Quali sono i parametri che utilizziamo per valutare tale immagine? Cosa c’è o non c’è di particolare in quella foto?

Soprattutto chi siamo noi, un fotografo professionista, un fotoamatore (a qualsiasi livello) o un semplice amante delle arti figurative, che cultura fotografica abbiamo per dare un giudizio più consono e preciso?

Forse è più preciso dire “Che Buona Foto” bello può essere il soggetto, una modella, un paesaggio, un tramonto e così via, ma non la foto nel suo insieme.

La fotografia deve raccontare, anche se il soggetto ripreso non è inteso come Bello, le foto di mafia di Letizia Battaglia, le immagini di guerra, dallo sbarco in Normandia al Vietnam alle vicende contemporanee ne sono un esempio.

Andiamo ad indagare le modalità di valutazione, che sono personali e molteplici, soffermandoci su di esse con una maggiore attenzione per capire se il giudizio dato è corretto o meno.

Individuando nella fotografia, come opera d’ingegno, la forma d’arte più importante del ventunesimo secolo, molti artisti la usano come documento di performance o azioni quotidiane, mentre altri inventano scene e narrazioni per raccontare storie immaginarie. mentre ci offrono sia dettagli pubblici che   privati. La fotografia è un mezzo per creare storie, mentre è anche depositaria di valori personali, sociali e culturali. 

Iniziamo da un domanda: Che cos’è una fotografia?

Non è così semplice da definire perché tanti sono i concetti che si inseriscono nella sua costruzione, ed essendo non soltanto un risultato di situazioni meccaniche di riprese attraverso un obiettivo, ma anche il volere comporre e soprattutto comunicare un pensiero, un messaggio, qualunque soggetto che è presente in una immagine resta un oggetto sterile se non viene interpretato, se non viene letto attraverso quella forma di reciproca comprensione che è il linguaggio fotografico.

Il linguaggio è il mezzo per comunicare che ci accompagna dall’inizio della nostra civiltà e della nostra cultura. Con esso ritengo ci siano importanti qualità che vanno individuate in una buona fotografia ed è la loro sintesi a produrre l’immagine corretta.

La Composizione:

Nella composizione troviamo vari controlli da effettuare: 

Nitidezza dell’immagine e l’esposizione, ed a questo pensa in genere la macchina senza la quale non ci può essere un modo di rappresentazione corretto.

Inquadratura: ciò che entra nel rettangolo del fotogramma: guardando nel mirino il fotografo decide quanto può e deve far parte dell’immagine e si rende conto di come i vari elementi agiscono uno rispetto all’altro: dipende dalla distanza tra fotocamera e soggetto e dalla focale dell’obiettivo. Disposizione e rapporti reciproci delle forme, linee e colori nell’immagine; posizione del soggetto e degli altri elementi. 

Prospettiva: dipende dalla distanza tra soggetto e fotocamera e dall angolo di ripresa per cui cambia allontanandosi o avvicinandosi al soggetto, spostandosi verso destra o verso sinistra, tenendo la fotocamera all altezza degli occhi, più alta o più bassa. Illuminazione: qualità della luce (laterale, diffusa, controluce) e disposizione dei vari elementi chiari, scuri dei colori. 

Azione: fermo / in movimento. 

La tecnica è facile perché ben definita, oggettiva, si può apprendere facilmente; tutti possono ottenere fotografie tecnicamente perfette. (le regole della composizione)

Ma anche rispettando queste regole basilari le immagini prodotte ci possono lasciare indifferenti. 

La composizione è soggettiva, implica sensibilità e gusto; è il risultato della cultura fotografica (linguaggio fotografico) personale e i fattori che la determinano sono in gran parte soggettivi e ciò che piace a una persona può lasciare indifferente un altra. La composizione ha che fare col modo di pensare del fotografo, inizia nel momento in cui si decide di scattare una fotografia; ed è il fotografo, normalmente, che sa cosa vuole comunicare.

La composizione è quindi un concetto,principale e personale; non ci saranno mai due fotografi che lavorano allo stesso modo.

Ma non soltanto questi arrivano a caratterizzare la fotografia ed a renderla leggibile all’osservatore servono anche:

la forma, senza la quale il contenuto resta scomposto; 

il contenuto, (linguaggio fotografico) cioè il racconto che l’immagine svolge.

Ed altre componenti (intenzioni) contribuiscono al risultato: 

l’autore, l’opera stessa, e l’osservatore dell’opera fotografica. 

“L’autore” 

è intimamente collegata all’autore stesso ed al significato che vuole assegnarle in quell’istante, perciò non facilmente spiegabile in modo generico perché soggettiva.

“L’opera”. 

Vale a dire che la fotografia a volte può essere autonoma ed avere dei significati che non sono quelli che l’autore desiderava, ma vengono a delinearsi automaticamente proprio perché quell’immagine è stata realizzata in “quel determinato momento”, in “quel determinato ambiente” e così via. L’opera assume dunque un proprio carattere al quale l’autore ha contribuito solo in modo marginale e fortuito.

“L’osservatore”.

Questa non è marginale, anzi direi forse la più importante fra tutte le componenti con cui ci si avvicina alla lettura della fotografia, ed la ritengo la principale. L’osservatore davanti a una fotografia, al di là della sua cultura fotografica ma seguendo il suo istinto e sensibilità, darà una particolare lettura dei contenuti compositivi. La lettura non sempre avviene contemporaneamente alla visione della foto stessa ma anche dal ricordo di immagini tratte dalla memoria che in occasioni passate gli sono capitate davanti. Memoria visiva inconscia.

Quando esistono questi punti di riferimento si può dire che la fotografia ha una sua leggibilità. E’UNA BUONA FOTO

Forse dell’immagine fotografia ci può interessare anche, sotto altri diversi aspetti, sia varie filosofie sia quello che noti autori e scrittori hanno affermato nei loro scritti, sia il modo in cui la descrivono e interpretano. Sicuramente la loro opinione contribuisce a formarci una sorta di influenza che tende a condizionare, in maniera inconsapevole, il nostro vedere. 

Prendere sul serio la fotografia significa anche riflettere sul suo ruolo. 

Le mani e la loro gestualità nella fotografia, esempi e significati di Stefano Marcovaldi

di Stefano Marcovaldi

in copertina foto: anonimo

Secondo Aristotele le mani sono una diramazione del cervello. 

Il linguaggio del corpo, e soprattutto delle mani, è importantissimo.

Le mani comunicano.

Le fotografie delle mani sono incisive e comunicative.

Con le mani si parla, si lavora, si trasmette il proprio io al nostro interlocutore. Se il primo contatto che stabiliamo è attraverso gli occhi, sono le mani che raccontano ed evocano ciò che immaginiamo, ed in effetti mentre parliamo spesso le usiamo per costruire intorno a noi ciò che stiamo descrivendo (gestualità).

Sappiamo bene quanto le mani riescano a parlare.

Sono un soggetto inesauribile.

Fotografarle è soprattutto creare una selezione di ciò che abbiamo di fronte un’azione che condensa dentro un rettangolo solo una parte di quello che osserviamo, un dettaglio capace di raccontare tutto.

Non sono scelte facili ci vuole poco a cedere al banale, perché per decidere di lasciare fuori tutto, tranne un solo particolare, ci vuole  capacità e talento.

Ma cosa serve perché un dettaglio funzioni?

Deve avere intanto una forma riconoscibile, si deve capire a cosa appartiene per poter immaginare tutto il resto.

Un dettaglio deve funzionare bene dal punto di vista compositivo: linee e forme devono essere “forti” per poter vedere, con l’immaginazione, quello che non si può o non si vuole mostrare.

Spesso il contatto visivo di chi osserva una foto punta sulle mani, sui loro gesti.

Alcuni esempi:

Alfred Stieglitz

ha raccontato un’artista attraverso il dettaglio delle mani. 

Sono quelle di Georgia O’Keeffe; espressive come sculture. E siamo nel 1919…

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André Kertész

 Bras et ventilateur, New York, 1937.

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Tina Modotti

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Tina Modotti

Modotti piedi

Man Ray

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Imogen Cunningham

Self Portrait (1932)

Self Portrait 2, 1932

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Contest di marzo: “Still life”. La foto più votata.

Per il contest di marzo l’immagine più votata dai soci è stata quella di Simonetta Orsini (foto in copertina).

La seconda foto più votata è quella di Antonella Simonelli:

Antonella Simonelli- The time of the coronavirus
Antonella Simonelli- The time of the coronavirus

 

Al terzo posto, a pari merito ci sono le foto di Michela Poggipollini e Massimo Giannetti.

Michela Poggipollini
Michela Poggipollini

Massimo Giannetti-Noci
Massimo Giannetti- Noci

Di seguito, le altre immagini proposte dai soci :

Aldo Carumani
Aldo Carumani

Corrado Seller
Corrado Seller

Elisabetta Manni
Elisabetta Manni

Federico Mammana- Sacrificio
Federico Mammana- Sacrificio

Giuseppe Giovine- STILL LIFE AI TEMPI DEL COVID-19
Giuseppe Giovine- STILL LIFE AI TEMPI DEL COVID-19

Lillo Fazzari
Lillo Fazzari

Lucilla Silvani
Lucilla Silvani

Lucio Baldelli
Lucio Baldelli

Maria Elena Ania
Maria Elena Ania

Maria Luisa Giorgi
Maria Luisa Giorgi

Maurizio De Angelis
Maurizio De Angelis

Sergio D'Alessandro-Natura morta
Sergio D’Alessandro-Natura morta

Stefano Marcovaldi- Quarantine
Stefano Marcovaldi- Quarantine

La foto stenopeica e Leonardo di Stefano Marcovaldi

di Stefano Marcovaldi

Nel 2019 si celebra Leonardo Da Vinci in tutte le sue molteplici attività, studi e curiosità compresa la FOTOGRAFIA.

Ovviamente non come la intendiamo noi oggi ma come il suo genio leggendario e il suo spirito di osservazione gli permisero di osservare e teorizzare il principio ottico della riflessione dei fasci di luce, della loro proprietà di “invertire” la scena, se proiettata su una superficie bianca e opposta rispetto alla scena riflessa.

Non fu il primo certamente, erano già arrivati  i cinesi nel V secolo a.C. e, soltanto dopo Aristotele e gli arabi, arrivò anche l’occidente grazie a Leonardo da Vinci che nel Codice Atlantico” scrisse dell’effetto ottico stenopeico:


Pruova come tutte le cose poste ‘n un sito sono tutte per tutto e tutte nella parte. Dico che, se una faccia d’uno edifizio o altra piazza o campagna che sia illuminata dal sole, al suo opposito un’abitazione, e in quella faccia che non vede il sole sia fatto un piccolo spiraculo retondo, che tutte le alluminate cose manderanno la loro similitudine per detto spiraculo e appariranno dentro all’abitazione nella contraria faccia, la quale vol essere bianca, e saranno l appunto e sottosopra, e se per molti lochi di detta faccia facessi simili busi, simile effetto sarebbe in ciascuno” (Leonardo da Vinci, in “Codice Atlantico” 1478-1518).

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Questo lo storico primo disegno dell’astronomo Gemma Frisius (1545) di camera oscura con foro stenopeico, usato per lo studio di un’eclissi solare

 

E’ veramente un esperienza unica poter utilizzare una scatola sia di cartone, di latta o di legno dove, nel retro, riporre una pellicola o un foglio di carta sensibile e davanti un microscopico foro e null’altro.

Dopo un discreto tempo di esposizione, che si ottiene con semplici calcoli,  l’immagine  sarà sempre a fuoco, infatti  il foro è talmente piccolo che permette una profondità di campo dai pochi centimetri all’infinito. Dopo una discreta attesa per lo  sviluppo e la stampa, si potranno apprezzare le magiche immagini ottenute.

In allegato alcune foto eseguite con pellicola 6×6 e stampate ad InkJet su carta per acquerello realizzate per una mostra tenutasi a Lanciano anni addietro.

Agavi
Agavi

Ara Pacis
Ara Pacis

Caput Mundi
Caput mundi

Go Round
Go round

Mirror
Mirror

Musa
Musa

ostia antica
Ostia antica