Questa serie di foto “racconta” il primo impatto con il complesso del nuovo Rettorato dell’Università Roma Tre divenuto operativo a fine settembre, nel senso che gli uffici vi si stanno progressivamente trasferendo anche se la struttura non è ancora aperta al pubblico.
Questo è il motivo per cui tutte le foto sono scattate dall’esterno del complesso, da dove, comunque, la bellezza si coglie appieno, come pure l’evidente riferimento ad uno dei simboli storici dell’area di Ostiense: il Gazometro.
Il complesso è stato progettato e realizzato dallo studio MCA – Mario Cucinella Architects di Bologna ed occupa l’area dove sorgeva l’Ente di Consumo tra via Ostiense, via degli Argonauti e via Libetta.
Al suo interno, oltre agli uffici, ci sono l’aula magna, aule per la didattica, la “piazza telematica” e sale riunioni varie; oltre ai nove livelli fuori terra, vi sono due livelli di parcheggi.
Due aspetti a cui è stata riposta molta attenzione sono la quasi totale autosufficienza energetica e la vasta presenza di elementi di vari tipi di piante.
Un particolare che mi piace segnalare riguarda la foto n.7 in cui si vedono riflessi sia il ponte Spizzichino (in qualche modo un nuovo elemento caratterizzante l’area di Ostiense) che l’edifico dove hanno sede sia Officine Fotografiche che l’Associazione Culturale Controchiave.
In ultimo un accenno al titolo: dopo tre anni di foto sul quartiere che il Circolo ha esposto in varie occasioni (principalmente in collaborazione con l’Associazione Culturale Controchiave e le sue iniziative), sono tornato a fotografare il quartiere di Ostiense. E non è finita …..
Il 25 gennaio si è aperta al Palazzo delle Esposizioni a Roma una grande mostra dedicata ad uno dei più importanti fotografi italiani ed internazionali.
La mostra curata da Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia è incentrata sul tema della città con oltre 250 foto di diversi formati dagli anni Settanta al Duemila.
Il paesaggio antropizzato, il suo sviluppo problematico e contraddittorio, le sue straficazioni create dal tempo, dai margini alle periferie in continua trasformazione sono stati sempre l’universo della sua ricerca. Lo attrae l’architettura “media”come lui la definisce, le periferie, i porti ,dichiarando di essere vittima di una sorta di fascinazione per il cemento. Scrive Basilico: “quello che mi interessa in modo costante, quasi ossessivo è il paesaggio urbano contemporaneo, fenomeno sociale ed estetico di grandi, rapide, incontenibili trasformazioni in atto nelle città del pianeta e penso che la fotografia sia stata, e continui forse ad essere uno strumento efficace e particolarmente sensibile per registrarlo”.
Il percorso espositivo si articola in cinque capitoli:
Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980, il primo grande progetto realizzato da Basilico.
Le sezioni del paesaggio Italiano, sei itinerari realizzati nel 1996 insieme a Stefano Boeri e presentati alla Biennale di Architettura di Venezia.
Beirut, due campagne fotografiche realizzate nel 1991 in bianco e nero e nel 2011 a colori.
Le città del mondo, le città dei suoi viaggi nel tempo ,da Bari a Napoli ad Istanbul, a Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York e Rio de Janeiro……
Inoltre, a corredo della mostra, viene presentata un’ampia biografia del fotografo che racconta la sua attività artistica e professionale
Con un occhio attento Basilico documenta la contemporaneità e l’aspetto irreversibile dell’urbanizzazione nelle città che incontra. Tra assonanze e differenze le città che ci propone dialogano fra loro e noi passo dopo passo ci muoviamo tra verticalità, grattacieli, architetture allungate, disomogeneità, porti e rovine o i contorni indefiniti della città di Roma.
Palazzo delle Esposizioni – Roma – Via Nazionale 194
Data: 23 e 24 novembre 2019
Luogo: Spazio Rossellini, Via della Vasca Navale, 58, Roma
Orari: la mostra è visibile nell’orario della manifestazione “La Via Semantica-Ostiense”
La mostra “GAS-O-METRO” del Circolo Fotografico PhotoUP è allestita all’interno dello spazio Rossellini dove si svolgerà la manifestazione “La Via Semantica-Ostiense” organizzata dall’Associazione Culturale Controchiave in collaborazione con l’VIII Municipio. Nella mostra collettiva dei fotografi del Circolo Fotografico PhotoUP, dal titolo “GAS-O-METRO”, le foto ritraggono scorci del quartiere Ostiense nella complessità delle sue geometrie urbane e cromie, in un’alternanza d’immagini da cui traspare lo stile personale di ogni fotografo. La mostra offre così una partitura visiva poliedrica del quartiere e lascia al visitatore la sensazione di averlo attraversato in tutte le sue dimensioni fisiche ed umane. Altri interventi saranno proposti da diversi artisti che attraverso musica, danza e teatro continueranno a parlare del Quartiere Ostiense offrendo così un fine settimana di eventi e riflessioni culturali.
Il PRIMO festival “Open air” e “Site specific” d’Italia è alla sua seconda edizione. Giornate di apertura 26/27/28 luglio 2019
Installazioni fotografiche di grande formato, mostre outdoor, talk e proiezioni in una città che è uno dei più grandi musei d’arte contemporanea “a cielo aperto” del mondo.
È il Gibellina PhotoRoad, il primo e unico festival di fotografia “open air” e site-specific d’Italia, organizzato dall’Associazione culturale On Image e co-organizzato dalla Fondazione Orestiadi, con la direzione artistica di Arianna Catania e il patrocinio del Comune di Gibellina, Main Partner Festival Images Vevey.
Un’eccezionale occasione per ammirare alcuni fra i lavori fotografici più interessanti degli ultimi anni, presentati nello spazio urbano con visionari e innovativi allestimenti “all’aperto”, alla ricerca di nuove interazioni con il pubblico.Forte del successo della prima edizione, Gibellina PhotoRoad torna quest’anno con un nuovo e più ricco programma che, per oltre un mese, dal 26 luglio al 31 agosto 2019, porterà nella cittadina trapanese i grandi autori del mondo della fotografia, accanto a giovani emergenti del panorama internazionale. Joan Fontcuberta, Mario Cresci, Mustafa Sabbagh, Moira Ricci, Tobias Zielony, sono soltanto alcuni dei grandi artisti più noti presenti, che insieme ai più giovani Manon Wertenbroek, Gianni Cipriano, Morgane Denzler, sono chiamati a confrontarsi con un luogo dalla storia unica.
Il tema di questa edizione è “Finzioni”.
Slash & Burn, Terje Abusdal
The Two Labyrinths, Michel Le Belhomme
MKUltra 2019, Mustafa Sabbagh
The Castle, Federico Clavarino
Andata e ritorno, Moira Ricci
The Hero Mother – How to build a house, Peter Puklus
Fabula ’68-’18, Mario Cresci
War Toys_Burning Neighborhood, Brian MacCarty
SPUTNIK, Joan Fontcuberta
Ferox the forgotten archives, Nicolas Polli
Attesissimo il ritorno in Sicilia, dopo l’anteprima dello scorso anno, di Joan Fontcuberta.
Fotografo e teorico dell’immagine, curatore e scrittore Catalano, Fontcuberta presenterà a Gibellina un immenso murales composto da 6075 mattonelle di immagini, selfie, foto di vacanze, feste e viaggi inviate dai cittadini gibellinesi all’artista che le ha poi ricomposte per formarne un’immagine unica.
La gigantesca opera collettiva permanente (13metri per 3,5) dal titolo “Gibellina Selfie- lo sguardo di tre generazioni”, sarà il più grande foto-mosaico murale di Fontcuberta al mondo, e verrà donato alla città, convertendosi in un’icona della stessa Gibellina.
Gibellina selfie, Joan Fontcuberta
A Gibellina sorge, in provincia di Trapani, nel cuore della Sicilia, uno dei più grandi musei d’arte contemporanea “a cielo aperto” del mondo.
Il 14 Gennaio 1968 un violento terremoto si abbatte sulla Valle del Belìce, nella Sicilia occidentale e Gibellina fu rasa al suolo.
Saluti da Gibellina, a cura di Arianna Catania
Dopo il sisma diventa sindaco di Gibellina Ludovico Corrao, personaggio unico e visionario, che insieme a un gruppo intellettuali, tra cui Leonardo Sciascia, lancia nel 1970 un appello per la ricostruzione. Risponderanno artisti noti nel panorama internazionale come Alberto Burri, Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagra, Mario Schifano, Joseph Beuys, Carla Accardi e molti altri. Nasce così lo straordinario esperimento di Gibellina. Da una catastrofe naturale e umana. E dall’energia catartica dell’arte e della cultura.
Il “Grande Cretto” di Alberto Burri ricopre le macerie della città vecchia ed è una delle opere di Land Art più conosciute nel mondo. L’opera è stata completata nel 2015, raggiungendo la dimensione di 90.000 mq.
Foto di: Baldelli Lucio, Fazzari Lillo e Nourinaeini Solmaz
Testo di: Solmaz Nourinaeini
Un viaggio e tre viaggiatori è una raccolta di foto di tre persone che hanno visitato più o meno gli stessi luoghi in Iran nell’arco di pochi anni. Quando siamo partiti ognuno di noi ha portato con sé una valigia di pensieri e di aspettative differenti, ma nessuno di noi ha dimenticato la macchina fotografica.
Arrivi lì, l’aria è secca e senti subito che sei in un posto lontano. Sono passati solo 4 o 5 ore ma gli odori, i colori, la luce sono cambiati.
Ti trovi in uno spazio aperto, pochi alberi ma tanto rumore del vento. Ti sembra che la terra e il cielo non si stacchino mai. Le carovane oggi sono sostituite dai tir e i carovan-serraglio da distributori di benzina ma l’entusiasmo del viaggio e di scoprire ancora scorre tra le pieghe del deserto. Lucio ha visto tutto ciò come in un film dove ancora ci sono i cavalli che portano le notizie da una città all’altra e carovane che si spostano finché non tramonta il sole: nelle sue foto il passato rimane un miraggio nel deserto.
Con Lillo arriviamo in città. Vediamo subito due uomini che chiacchierano: ora siamo fra i vicoli che abbracciano il passato. Con le mani tocchiamo le pareti di case fatte con il fango e la paglia. Quando piove si sente l’odore di terra bagnata ed è facile ricordarsi che qui la gente aspetta la pioggia con ansia.
In fondo alla strada con gli archi c’è la moschea. Qui le moschee hanno un colore azzurro per ricordare il cielo e i fiori sulle loro ceramiche ricordano il giardino dell’eden.
Con Solmaz si va a fare un giro nei vicoli di pomeriggio…
Ho voglia di uscire, voglio andare a fare un giro con la bicicletta. Fa caldo ma io esco. Passo nel bazar, ma quanta gente che passeggia. Mi perdo tra i vicoli e guardo i fili elettrici che dividono il cielo e le nuvole. Mi ricorderò tutto di questo paese, la luce, i mattoni, i fili elettrici….le tortore no! Si spostano troppo.
Ferrara è un luogo sempre ricco di suggestioni sia per il colore rosso dei mattoni che per i giochi dell’acqua. E’ un esempio di morfologia urbanistica di quella che Jacopo Burckhardt definiva “la prima città moderna d’Europa”, dove la città medievale si raccorda con la città rinascimentale senza soluzione di continuità in un armonia di raro equilibrio.
Le foto vogliono essere anche un omaggio a Bruno Zevi che ha dedicato a Ferrara un libro importante: “Saper vedere la città: Ferrara di Biagio Rossetti”, cui devo molto.
Roma, la mia città, è ricchissima di opere d’arte nei palazzi, nelle gallerie, nei musei ed in altri luoghi ancora che io ho iniziato a scoprire da quando, studentessa di Architettura frequentavo le lezioni di storia dell’arte.
Negli anni successivi cominciai ad appassionarmi anche alla fotografia ed andavo in quei luoghi d’arte come una turista che riporta a casa i ricordi e le emozioni del proprio viaggio.
Presto mi domandai perché riprendere le opere d’arte dal momento che avevo la possibilità di poter tornare a godere degli originali ogni volta che volevo e sfogliare libri le cui immagini erano senz’altro migliori e più ricche di quelle che potevo realizzare io.
Girando per i musei mi accorsi allora che era molto più interessante cogliere le emozioni del visitatore di fronte alle opere d’arte, la sua meraviglia se non addirittura l’estasi per il bello. Tanto era la concentrazione dei visitatori che non si accorgevano di essere ripresi da me, il più delle volte molto da vicino.
Anni dopo, mi accorsi che quello che stavo facendo corrispondeva alla visione che Roberto Cotroneo suggerisce nel suo libro Genius Loci e che è riassunta nel testo presentato come sottotitolo della sua opera:
“le sale di un museo d’arte prevedono un pubblico che guarda le opere ma non un pubblico che osserva un pubblico, eppure tra le prime cose di cui ho dovuto prendere atto, che ha dato origine a questo lavoro è che nel teatro dell’arte la scena non è quella dell’opera ma del pubblico.”
Le immagine presentate sono state riprese nella Galleria Borghese, nella Villa Farnesina e nel Palazzo Altemps.
James Longley è un fotografo e regista statunitense che in diversi suoi progetti si è occupato di questioni umanitarie. Qui di seguito si riportano alcune sue foto della serie “A Childhood in Kabul”.
Le foto sono caratterizzate da un forte contrasto fra l’ambiente degradato e povero di Kabul e la presenza di bambini e di colori vivaci. Sembra che i bambini siano degli intrusi che vivono in un mondo distrutto da ex-bambini…
I bambini in questa città hanno poco tempo prima di venire risucchiati via dal vortice della vita giornaliera in una Kabul che non offre sicuramente una vita facile. Il fotografo infatti riesce a trasmetterci attraverso le sue foto la sensazione di una felicità precaria.
Ma il fotografo, anche se per pochi istanti, riesce a far distogliere la nostra attenzione dall’ambiente circostante e a rievocarci quelle stesse sensazioni che tutti abbiamo provato davanti ad un palloncino tutto nostro, ad un negozietto di giocattoli o nel correre a giocare con i nostri amici a prescindere da dove abbiamo vissuto la nostra infanzia.
La foto riportata sopra è di Elisabetta Manni, socia del Circolo Fotografico PhotoUp, ed è stata pubblicata nella sezione FIAF YOUNG dell’Annuario Fotografico Italiano 2017. La foto si intitola “FUTURUS” ed è visibile alla pagina 65 dell’Annuario!
Vicinissimo a Piazza del Popolo, nel centro storico di Roma, tra Via di Ripetta e Via del Vantaggio, c’e un negozietto di restauro artistico, meglio conosciuto come “L’ospedale delle bambole”.
Quando ero bambina chiedevo sempre di fermarmi, incantata davanti a quella vecchia vetrina delle meraviglie, tutta impolverata. Vedevo bambole accatastate una sull’altra e gambe, braccia, mani, occhi che immaginavo un mago curasse e ricomponesse con amore e delicatezza per restituirle alla vita ed alla loro proprietaria.
Recentemente sono andata al negozietto per aggiustare un oggetto di porcellana e, una volta dentro, ho visto file di bambole allineate, decapitate e senza occhi, convivere con marionette, gufi, Pinocchi, soldatini di piombo ed oggetti antichi, uno sull’altro in un sapiente disordine che solo il mago conosceva e tutto ricoperto dalla polvere. Mi è sembrato un negozio un po’ inquietante ma anche molto interessante e proprio questo, come fotografa, mi ha attratta.
Ho cominciato a scattare una foto dietro l’altra ma non in tutti questi scatti riuscivo a rievocare le emozioni che provavo quando ero bambina.
Allora sono andata fuori davanti la vetrina di Via del Vantaggio, dove allora sostavo affascinata, e nella fragilità di queste bambole nude e malate o vestite di abiti principeschi, ho ritrovato la bellezza di alcuni particolari soprattutto quando i raggi del sole le colpivano.
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