Mostra fotografica “Noi e il Serpentone” del Circolo Fotografico PhotoUp

Terza parte

11° pannello

Foto realizzate da Maria Elena Ania, Maria Luisa Giorgi, Sergio d’Alessandro

12° pannello

Foto realizzate da Elisabetta Manni, Lucio Baldelli, Anna Ranucci

13° pannello

Foto realizzate da Maurizio De Angelis, Lucilla Silvani, Anna Ranucci

14° pannello

Foto realizzate da Anna Ranucci, Maria Elena Ania, Lucilla Silvani, Antonietta Magda Laini

Opera murale di Stefania Fabrizi, foto di A.M. Laini

Mostra fotografica “Noi e il Serpentone” del Circolo Fotografico PhotoUp

Seconda parte

6° pannello

Foto realizzate da Massimo Giannetti, Maurizio De Angelis, Elisabetta Manni e Maria Elena Ania

7° pannello

Foto realizzate da Anna Ranucci, Lucilla Silvani, Maria Luisa Giorgi e Elisabetta Manni

8° pannello

Foto realizzate da Sergio d’Alessandro, Lillo Fazzari, Antonietta Magda Laini e Maria Rosaria Marino

9° pannello

Foto realizzate da Antonietta Magda Laini, Maria Rosaria Marino e Lillo Fazzari

10° pannello

Foto realizzate da Maria Rosaria Marino, Antonietta Magda Laini e Massimo Giannetti

Mostra fotografica “Noi e il Serpentone” del Circolo Fotografico PhotoUp

Nell’ambito della Festa per la Cultura 2022, manifestazione organizzata dall’Associazione Culturale Controchiave, il Circolo PhotoUp ha presentato una mostra fotografica per documentare la volontà di trasformazione e di abbellimento del quartiere di Roma sud di Corviale, realizzata anche con Murales, espressione di arte e denuncia politica.

Corviale è stato fin dall’inizio sinonimo di disagio e degrado per i suoi abitanti ma questo aspetto negativo non è legato al fatto di ospitare una struttura abitativa lunga un chilometro (il Serpentone) bensì a quello di non essere stato completato di servizi e di non essere stato reso realmente autonomo.

Sono stati presentati 14 pannelli con 4 fotografie a tema ciascuno. Qui di seguito i primi cinque.

1° pannello

Foto realizzate da Lucio Baldelli, Elisabetta Manni e Maurizio De Angelis 

2° pannello 

Foto realizzate da Paola Bordoni

3° pannello

Foto realizzate da Maurizio de Angelis, Lillo Fazzari, Lucio Baldelli, Maria Elena Ania 

4° pannello

Foto realizzate da Sergio d’Alessandro, Maria Luisa Giorgi, Massimo Giannetti

5° pannello  

Foto realizzate da Maria Rosaria Marino, Lillo Fazzari, Maria Luisa Giorgi, Lucio Baldelli

Mostra fotografica: Noi e il Serpentone

Anche quest’anno saremo ospiti della Ventinovesima edizione della “Festa per la Cultura”, manifestazione culturale organizzata dagli amici dell’Associazione Culturale Controchiave. L’evento si svolgerà il 24-25-26 giugno all’interno del parco della Scuola Principe di Piemonte, Via Ostiense 263.

Quest’anno esporremo una serie di scatti di Corviale, soprannominato Serpentone. Una visione personale del quartiere romano spesso oggetto di degrado ma che ci ha riservato molte sorprese. Il progetto è nato a seguito di un’iniziativa di alcuni residenti che prevedeva interventi di riqualificazione focalizzati sulla Galleria Tabacchi (Lotto IV). Tra questi la realizzazione di murales ad opera di alcuni street artists. È qui che inizialmente ci siamo focalizzati, per poi ampliare il campo della nostra attività alle altre zone del “Serpentone” tra le quali la mostra delle memorie, la piazzetta con i laboratori artigianali, l’anfiteatro e gli ambienti residenziali all’interno del complesso.


Margaret Bourke-White

di Elisabetta Manni

Dopo Milano, arriva a Roma la retrospettiva sulla fotografa Margaret Bourke-White: “Prima, donna”, in esposizione fino al 27 febbraio 2022 al Museo di Roma in Trastevere.

Ed è proprio con lei che vogliamo cominciare una raccolta dedicata alle fotografe che hanno lasciato il segno nel mondo della fotografia. Non è un caso se abbiamo voluto iniziare proprio con lei. Margaret Bourke White, infatti, viene considerata la prima donna fotografa, la prima ad entrare nel Pantheon dei grandi fotografi della rivista LIFE.

“Se ti trovi a trecento metri di altezza, fingi che siano solo tre, rilassati e lavora con calma”

Figlia di mezzo di una famiglia borghese del Bronx, inizia a studiare biologia al college; immediatamente, intuisce che il suo posto non è il laboratorio, ma il mondo. Si avvicina alla macchina fotografica un po’ per caso. Durante la sua infanzia non ebbe modo di sperimentare con la fotografia, si limitava ad osservare il padre, un inventore, che abitualmente si interessava di macchine fotografiche in cerca di una nuova invenzione.

Lasciato il college, a venti anni intraprende la carriera fotografica aprendo il suo studio fotografico. Inizia a cimentarsi nella fotografia industriale e le sue foto attirarono subito un cospicuo numero di clienti. Con la macchina fotografica riusciva a donare sinuosità e morbidezza a materiali come acciaio e ferro; tubi e ciminiere si trasformavano in forme astratte e oniriche. Le fabbriche erano un luogo confortevole; il fuoco non lo temeva, anzi si avvicinava pericolosamente pur di portare a casa lo scatto perfetto.

Nel 1929 viene contattata da Henry Luce, caporedattore del Time, per collaborare alla nuova rivista, Fortune. Non ci volle molto per farsi notare, infatti, qualche anno dopo, la sua foto della diga di Fort peck, in Montana, venne pubblicata come immagine di copertina. Prima di allora nessuna fotografa aveva avuto una foto pubblicata in un giornale così importante come il TIME. Inevitabilmente segnò una svolta storica nel campo della fotografia soprattutto per le donne. Erano gli anni ’30 e anche in una nazione moderna come gli Stati Uniti d’America le donne dovevano lottare per far valere il proprio lavoro. Quindi, la foto di copertina, oltre ad essere una foto valida, diventava un simbolo per tutte le fotografe.

L’audacia di Margaret Bourke-White non si fermò. Continuò la sua prima passione, la fotografia industriale, ma allo scoppio della seconda guerra mondiale si ritrovò in Europa come fotografa di guerra. Una delle foto più importanti che scattò durante la sua carriera fu quella scattata durante il suo soggiorno a Mosca. Era il 1941 e Margaret Bourke-White fu l’unica fotografa e l’unica straniera a riuscire a fotografare Iosif Stalin in URSS. L’unica americana in URSS.

All’età di cinquant’anni le venne diagnosticato il Parkinson. Nonostante ciò, continuò a fotografare fino a quando la malattia glielo permise. Proprio durante questo periodo si avvicinò alla scrittura lasciandoci in dono la sua autobiografia “il mio ritratto”.

Nel 1989 l’attrice Farrah Fawcett interpreta la fotografa nel film autobiografico “Double exposure: the story of Margaret Bourke-White”, regia di Lawrence Schiller.

Video della mostra”Il Circolo Fotografico PhotoUp si racconta: sfida all’ultimo scatto”

Lavoro collettivo dei soci di PhotoUp

Video realizzato da Giuseppe Giovine

Il circolo, nel mese di luglio 2021, ha presentato alla ventottesima edizione della “Festa per la Cultura”, manifestazione organizzata dall’Associazione Culturale Controchiave, una raccolta di foto dei soci relative ai contest proposti nel circolo in questi anni.

Le foto della mostra sono state montate in un video che viene qui proposto.

75° Congresso Nazionale FIAF – Inaugurazione mostra fotografica “Cronache Quaranteniche”

Foto e testo di Sergio d’Alessandro

Nei giorni 16,17 e 18 luglio 2021 si è svolto a Bibbiena il 75° Congresso Nazionale della FIAF, nel programma delle tre giornate è stata inclusa l’inaugurazione della mostra dedicata al progetto fotografico collettivo “Cronache Quaranteniche – diario fotografico di un anno di pandemia” organizzato dal CIFA. La cerimonia di inaugurazione è stata aperta dall’intervento del Presidente della Fiaf Roberto Rossi a cui si sono susseguiti quelli del Direttore del CIFA, Claudio Pastrone, e della Direttrice Responsabile della rivista FOTOIT, nonché membro del Consiglio Nazionale della Fiaf, Cristina Paglionico.

Il Circolo Fotografico PhotoUp ha partecipato con un lavoro collettivo a cui hanno contribuito 9 soci del circolo: Anna Ranucci, Maria Elena Ania, Lucilla Silvani, Elisabetta Manni, Antonietta Magda Laini, Stefano Marcovaldi, Lucio Baldelli, Maurizio De Angelis e Sergio d’Alessandro. La foto “Anche loro sfioriranno” di Lucilla Silvani è stata selezionata ed esposta alla mostra. Mentre, le foto di Anna Ranucci ed Elisabetta Manni hanno avuto un loro piccolo spazio all’interno della mostra entrando a far parte di due dei cinque pannelli dove sono state apposte alcune delle foto partecipanti. Questi foto-collage hanno dato la possibilità a molti di essere comunque parte della mostra.

In basso al centro, “Anche loro sfioriranno” di Lucilla Silvani

Nel corso dei tre interventi è stata rimarcata la grande adesione dei fotografi nonostante i tempi, tra il lancio del progetto e i termini di consegna, fossero più brevi del solito. Un altro aspetto che è stato messo in risalto è, come questo difficile periodo sia stato raccontato dai partecipanti con foto apparentemente semplici, orientate alla quotidianità dentro casa, sul lavoro, nella gestione dei bambini, degli anziani e delle persone più fragili. Tra queste vorrei citare: la serie fotografica dei ritratti delle infermiere, di Giuseppe Misesi (La cura in uno sguardo), posizionate al piano superiore di fronte alle sale espositive in modo che fossero visibili da ogni stanza; una serie di foto che abbinano la pagina di giornale ad un gesto quotidiano (Andrea Colleoni – Lockdown e Vincenzo Bianco – Quotidianità sospesa, per citarne due); una serie di foto sulla difficoltà di poter essere vicini ai parenti in RSA (Valerio Pagni – La stanza degli abbracci, per citarne una). Inoltre, lungo il corridoio, tra il piano terra ed il piano superiore, sono stati appesi dei fogli di calendario a ricordare il tempo trascorso, con le date che vanno da marzo 2020, inizio dell’emergenza sanitaria, fino ad oggi.

A destra “Surreale” di Anna Ranucci, a sinistra “Agoraphobia” di Elisabetta Manni


La mostra resterà esposta al CIFA – Centro Italiano della Fotografia d’Autore fino al 05 settembre 2021.

Orari:
da martedi a sabato 9.30/12.30 e 15.30/18.30
domenica 10.00/12.30
Sabato e domenica su prenotazione.

Centro Italiano
della Fotografia d’Autore

Via delle Monache, 2
Bibbiena (Arezzo)

http://www.centrofotografia.org/mostre/introduzione/48

“Cronache Quaranteniche” – CIFA, Bibbiena

Sabato 17 luglio, in occasione del 73° Congresso Nazionale dell FIAF a Bibbiena, verrà inaugurata la mostra dal titolo “Cronache Quaranteniche – diario fotografico di un anno di pandemia”.

A Gennaio 2021 la FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) ha deciso di aprire una Call fra tutti i soci (e non) per raccogliere gli scatti più significativi e comporre un diario quotidiano del periodo emergenziale che abbiamo, e che stiamo tuttora vivendo. Un gruppo di soci del nostro Circolo ha deciso di partecipare con un portfolio collettivo che è stato selezionato tra le opere incluse nel volume edito dal CIFA.

Di seguito, alcuni degli scatti che saranno esposti fino al 5 settembre al CIFA (Centro Italiano della Fotografia d’Ature) di Bibbiena.

Giacomelli/Burri. Fotografia e immaginario materico di Stefano Marcovaldi

Dal 01 Luglio 2021 al 26 Settembre 2021

SENIGALLIA | ANCONA

LUOGO: Palazzo del Duca

INDIRIZZO: Piazza del Duca 1

Dal primo di Luglio si aprirà a Senigallia una mostra su due grandi artisti del Novecento Giacomelli e Burri.

Le vite di Mario Giacomelli e Alberto Burri si sono intrecciate negli anni più volte, in un rapporto di reciproca stima e ammirazione che è confluito in una ricerca comune, che questa esposizione vuole indagare ponendo in dialogo le loro opere sia di pittura che fotografiche. Intorno al 1966 avviene il primo incontro tra i due, grazie all’intercessione di Nemo Sarteanesi – pittore, intellettuale e amico di Burri – che casualmente conosce Giacomelli a Senigallia.

La mostra di Palazzo del Duca a Senigallia propone un importante nucleo di fotografie che Mario Giacomelli dedicò ad Alberto Burri e Nemo Sarteanesi e che appartengono ai fondi della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri e agli Archivi Giacomelli e Sarteanesi.

Mario Giacomelli scatterà tutte le sue foto, sempre, con una unica macchina fotografica.

Una corpo macchina artigianale comprata nel 1955 da Tarini a Milano e che utilizzò fino all’anno 2000.

KOBELL PRESS” questo è il nome.

Progettata dal fotografo Luciano Giachetti con la collaborazione dell’artigiano milanese Boniforti,costruita poi in soli 500 esemplari dalla ditta di Agostino Ballerio, fu inizialmente dotata di un obbiettivo Voigtlander color-heliar 1:3,5/105.

I fotografi vicini a Giuseppe Cavalli (Gruppo Misa) avevano scelto di dotarsi di questa macchina di fatto assemblata ad personam.

Era stata pensata per il fotoreportage giornalistico, riuscendo ad unire le pellicole negative medio formato delle rolleiflex e la flessibilità delle ottiche intercambiabili Leica. Tra gli autori che a scopi artistici avevano ed usavano la Kobell, oltre Giacomelli, c’erano, Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni, Renzo Tortelli e, su consiglio e raccomandazione di Giacomelli, anche Duilio Barbaresi, suo amico, celebrato parrucchiere senigalliese, esperto ed appassionato di fotografia. 

Ma  come nacque questa mitica Macchina fotografica?

La Leica è stata il grande amore del fotografo Luciano Giachetti, detto Lucien e se la portò dietro al reparto di cinematografia militare di Torino, al quale era stato assegnato.

Quando, all’indomani del 25 aprile 1945, i soggetti fotografici stavano mutando, la Leica mostrò forse i suoi anni. Nonostante il lungo stato di servizio, le caratteristiche principali di questa macchina ormai passata alla leggenda erano rimaste inalterate. Ma le esigenze della cronaca, della registrazione continua ed incalzante sulla pellicola della vita nei primi due anni di pace, aumentavano in modo preponderante. Occorreva passare dal formato 24 per 36 al formato 6 per 9 caratteristico della Rolleiflex. Tuttavia era anche necessario continuare a disporre di obiettivi di grande precisione e versatilità. Giachetti, nel frattempo stabilitosi a Vercelli, con un anno di lavoro paziente, dal 1946 al 1947, mise a punto una macchina che rispondesse ai requisiti voluti.
“Il problema – rammenta – era di fondere la Leica con una delle macchine da fotocronaca che erano comunemente adoperate dagli americani e che durante la guerra erano state date in dotazione anche ai reparti specializzati degli eserciti italiano, tedesco, francese”.
Il risultato di un lavoro fatto di innumerevoli viaggi fra Vercelli e Milano, di continue prove e di non poche delusioni, prese il nome di Kobell, che in tedesco vuol dire mescolanza. Infatti, quel pezzo unico al mondo, oggi custodito gelosamente e che figurerebbe bene in un museo internazionale della fotografia, aveva gli obiettivi Zeiss, l’otturatore a tendina e il mirino propri della Leica. Però le altre parti erano della tedesca Plaubel, cosicché fu possibile ottenere fotogrammi 6 per 9 di alta resa. “Tutta la mia attività di fotocronista fino al 1957 – dice Giachetti – si basò sulla Kobell, mentre i miei colleghi usavano ormai quasi esclusivamente la Plaubel e la Rolleiflex.

La sua mitica Kobell, Giacomelli nel corso degli anni, nel farsi chiaro il suo stile, la personalizza cambiando l’obiettivo con un Eliar a diaframma tutto chiuso con tempi lunghi. Modifica il formato del negativo, 56×74 con rullino 6×6 e con rapporto 2/4 adatto per il formato della carta 30×40. L’aver modificato l’obiettivo, non più collegato con lo scatto, lo obbliga a fotografare unicamente con l’uso del cavetto. Certo non è la sua, una macchina per passare inosservati o per muoversi agili e cogliere l’attimo, è una macchina che detta tempi lenti (tra l’altro pesantissima), con cui il fotografo dialoga con la sua interiorità immettendosi nel mondo. Giacomelli ha modificato così fortemente il suo apparecchio che alla fine, della Kobell è rimasta solo la scatola: il mezzo tecnologico, in questo processo di metamorfosi, smette di essere un oggetto preconfezionato, per divenire parte dell’artista stesso e della sua forza creativa. Una sintonizzazione reciproca, che fa dire a Giacomelli: “Io il profumo che ha il fieno dopo la pioggia, l’ho imparato dopo che ho comperato la mia macchina fotografica”.

Josef Koudelka. Radici

di Antonella Simonelli

Fino al 16 maggio in mostra all’Ara Pacis “Radici” di Josef Koudelka, il grande fotografo della Magnum Photo.

Il lavoro presentato è la raccolta di 110 immagini in cui il fotografo ritrae molti dei siti archeologici più importanti e rappresentativi del Mediterraneo.

Sono panoramiche di grande  formato, di un superbo bianco e nero frutto di un lungo viaggio durato più di trent’ anni tra Grecia, Siria, Turchia, Egitto, Marocco, Italia, Francia, Portogallo, Giordania…

Una riflessione sul paesaggio, sulla bellezza e sulla memoria. Una ricerca sulle radici della nostra storia, sulle origini della nostra civiltà.

Il modo così particolare di scattare da parte di koudelka è il vero protagonista della mostra.

Koudelka lavora con la luce, la esamina, l’attende, la insegue fino a cogliere il momento adatto.

Le sue inquadrature sono spesso non canoniche, non centrate, fatte di prospettive instabili, ma proprio per questo così impattanti da un punto di vista emotivo e  fanno di queste immagini delle vere opere d’arte.

C’è storia nella fotografia di koudelka, c’è ricerca, c’è invito alla riflessione sulle origini della nostra cultura, ma soprattutto c’è arte, quella che ti fa uscire da una mostra diverso da come sei entrato, perché le immagini hanno provocato coinvogimento mentale ed emotivo.

I siti emergono ora evidenti, ora meno, contestualizzati, o al contrario universalizzati, perchè colti in particolari non facilmente ricostruibili. Colonne, templi, teatri, insomma storia umana letta con la lente dell’arte mostrata come punto di vista del fotografo, che non vuole semplicemente documentare ma anche creare. E quindi guardiamo al passato ma nello stesso tempo sentiamo che quello che abbiamo difronte è il contemporaneo.

Il tutto all’interno dell’Ara Pacis simbolo della grande Storia di Roma e quindi contesto ideale per accogliere una mostra sulle origini della civiltà e della bellezza.

Alla fine del percorso mostra è presente un interessantissimo filmato dal titolo “ Obbedire al sole” dove troviamo ripreso il fotografo all’azione immerso tra le  radici della nostra civiltà. Koudelka sfida il sole e con estrema maestria e tempismo  realizza lo scatto perfetto . Ma il fotografo, che lavora con la luce ammonisce:” A volte si vince , a volte si perde. E’ il sole a farla da padrone”

Museo dell’Ara Pacis

Dall’1 febbraio al 16 maggio.