



















Per il Contest di marzo la foto che ha avuto il maggior numero di consensi è stata quella di Lillo Fazzari.
Le altre foto che hanno partecipato:
Il prossimo Contest avrà come soggetto “La piazza” ed avrà scadenza 12 maggio 2017.
di Antonietta Magda Laini
Manchester by the sea, il cui protagonista Casey Affleck ha vinto l’Oscar come migliore attore, si può definire il film del “disgelo”: si tratta di una ibernazione emotiva che, con lo svolgersi degli avvenimenti, sembra trovare una soluzione.
E’ anche uno dei migliori film passati al Sundance Film Festival del 2016. Si svolge in una cittadina della costa del nord-est degli Stati Uniti.
La fotografia di Jody Lee Lipes si rivela veramente interessante sostenendo l’equilibrio del film.
Lipes alterna due tipi di luce: il giorno è quasi sempre grigio e nuvoloso (luce che sembra preferire) e la notte appare stellata.
Con tutti i toni di grigio utilizzati, mare e cielo si mescolano e specialmente il particolare grigio-verde del mare confonde e rende immobile anche il ricordo.
Le case della cittadina non mostrano ombre e tutto si percepisce come privo di suoni, fisso e congelato, a parte, in alcuni momenti, l’accompagnamento di musiche di Handel e Albinoni.
La struttura di alternanza fra passato e presente costruita dal regista e anche sceneggiatore Kenneth Lonergan, senza mai sconfinare nello schematico, fa comprendere la ragione della fissità emotiva del protagonista e viene ben interpretata dalle immagini che, a loro volta, lo isolano quasi emarginandolo all’interno delle inquadrature.
Lo stesso isolamento, sempre all’interno delle inquadrature, vale anche per il coprotagonista.
Va sottolineato come l’efficace collaborazione tra fotografia e regia abbia trasformato i traumi, i silenzi, le difficoltà dei sentimenti in immagini precise, valide, preziose che “parlano”, e si esprimono, dimostrando come anche senza l’uso della parola si possano raccontare non solo i fatti ma anche le emozioni.



Ho voluto distinguere in queste foto la quotidianità del centro storico di Roma, come può essere percepita da chi vi lavora giornalmente, dalla specificità di chi viene a visitarla come turista, che non per questo è risparmiato dall’essere ingoiato dagli aspetti negativi che ogni città d’arte presenta: le lunghe file, la confusione e la stanchezza.
Quando però a Roma, nella mia città, si è finalmente raggiunta la meta è l’entusiasmo, la gioia e l’allegria per le bellezze della Città eterna che vedo negli occhi di tutti..






Qual è il tempo di posa per fermare il lampo di uno sguardo? Qual è l’apertura necessaria a coglierne la profondità? Quale sensibilità occorre adottare per sondarne il pathos? Domande senza senso per chi ricerchi persino negli sconosciuti incrociati per strada la dolcezza, la concentrazione e la tristezza del primo sguardo che ha colpito l’animo in un tempo tanto remoto da sfumare ogni cosa nel sogno. Eppure c’era. Eppure la felicità ed insieme il dolore che quello sguardo ha lasciato scolpiti negli occhi e nella mente sono troppo vividi per essere stati solo immaginati.
Mi dai una sigaretta? Non ricordo più in quale lingua mi fu chiesto, ma ricordo molto bene le chiacchiere che da quella sigaretta scaturirono insieme al fumo. Venne fuori la storia di una persona che aveva lasciato il suo Paese per girare il mondo e correre l’avventura, cercare fortuna e trovare la rovina, che ricordava di avere visto l’Italia ma non rammentava più qual era quella grande città con il mare così azzurro e la gente così cordiale. Aveva trovato l’amore, grande, appassionato, violento e l’aveva perduto per gioco. E più parlava, più la bocca sdentata alternava sorrisi dolcissimi ed increspature di sofferenza ed il fumo rimaneva sempre più a lungo nei polmoni ormai saturi. Ti posso fotografare? gli ho chiesto. Si, mentre parliamo, ma bada: non di nascosto! Non era lo sguardo che cerco, non era il ricordo che mi insegue ma era la vita. Altrove ed in altri momenti altri sprazzi di vita, negli sguardi profondi, distratti ma assorti, silenziosi ma urlanti, ilari e delusi, tutto allo stesso tempo, mi hanno sfiorato e non scambierei la testimonianza di quegli istanti con nessuna splendida architettura e nessun sognante paesaggio, con nessun colore sgargiante e nessun chiarore stellare, quand’anche fosse la mia prima ed unica foto perfetta.
Di chi quel lontanissimo sguardo? Perché così caro e cercato? Ma poi, in fondo, non è la materia di cui son fatti i sogni?







Difficile scegliere delle foto tra quelle di un viaggio estivo in Islanda. Tante le suggestioni, i ricordi le emozioni che una terra come questa ti può dare. Impossibile sintetizzarle in 15 immagini.
Il passaggio da un ghiacciaio a un gaisyr ti dice subito dell’estrema varietà di fenomeni che possono avvenire qui. E se uno dice stabilità, fermezza, pace, candore, freddo, l’altro comunica che lì sotto c’è un mondo in fermento che ribolle e che ha bisogno di sfogare la sua forza in forma di vapore, fango e lava che, uscendo, scioglie il ghiaccio e crea fiumi irruenti e cascate impressionanti. Questi fumi e vapori formano nebbie nelle quali si fanno appena vedere le forme fantasmagoriche di scogli, pietre, iceberg e capisci perché la mitologia e le favole qui hanno avuto vita facile. E poi la natura viva, i fiori, le piante, gli animali. E mentre cerchi di fotografare una pulcinella di mare ti affacci a guardare l’oceano e vedi un’orca che insegna a cacciare al suo cucciolo. E infine i paesaggi struggenti della bassa marea, dei fiordi e dei tramonti infiniti di questa estate boreale.









In queste mie immagini ho voluto cogliere persone e figure umane all’interno di silenziosi luoghi di classica bellezza, fermando l’attimo in cui entrano in relazione con le opere d’arte.
Sono andata, all’aperto, ai Mercati Traianei, dove negli ampi ambienti voltati dell’architettura romana ho avuto la fortuna trovare una esposizione di moda, nel giardino di Valle Giulia e nel Chiosco del Bramante e negli spazi chiusi del Museo Borghese.
Mi sembra che queste immagini, più di altre, tradiscano la mia formazione di architetto.






Girando per la città ho raccolto stimoli e messaggi inviati da muri, murales, vetrine e spazi pubblicitari.
Occhi che scrutano, contrasti, vecchio e nuovo, suoni immaginati, ombre nei riflessi delle vetrine, promozione di possibili miracoli.
Immagini che forse mostrano, almeno in parte, uniformità di tonalità e colori.






IL TEATRO.
Nobile arte antica e mai desueta, che tutto il mondo acclama ed allieta.
Fasti e glorie ha conosciuto, reali e popoli ha intrattenuto.
Il tempo passa, la vita cambia, lui come uno specchio riflette ed incanta, e mai ti stanca.
Shhhh…ecco lo scalpiccio che incalza…si apre il sipario, ed incomincia la ribalta!







Ho attraversato parte degli stati del west e mi sono imbattuto in spazi immensi e davvero poco frequentati ma anche in città molto grandi eppure piene di vuoto, di assenza o di micro presenza umana anche in posti insospettabili come i Casinos di Las Vegas o le spiaggie di Los Angeles. Allora mi è tornata alla mente la frase del mio mito letterario di gioventù, Jack Kerouac, il quale ne “I vagabondi del Dharma” dice: “Sono il vuoto, non sono diverso dal vuoto, né il vuoto è diverso da me, in realtà il vuoto sono io”.
Gli americani sono così. Sanno di essere a contatto con il vuoto e con l’assenza. Sanno che la possibilità di passare da una vita normale a quella di un homeless è sempre dietro l’angolo; sanno che se stai male e non hai soldi o l’assicurazione puoi cadere nel vuoto dell’indifferenza; sanno che spesso quando hai vent’anni il governo ti chiama e ti tocca partire per una guerra in posti che non sai neanche dove sono e dove può anche capitarti di morire e la tua assenza sarà riempita con una bandiera, in mezzo ad altre mille, nel giardino di una scuola.
Per dire tutto questo ho cercato i luoghi più significativi e più pieni di umanità: le highways, i bar, i campi di basket, i luoghi turistici, le spiagge. Ho cercato i momenti di maggiore assenza e ho deciso di desaturare le immagini per accentuare la sensazione di sproporzione tra la grandezza degli spazi e la mancanza di persone, nonostante i segni della loro attività. Un modo diverso, spero, di raccontare un Paese davvero straordinario ma ancora pieno di contraddizioni.









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