di Antonietta Magda Laini
Manchester by the sea, il cui protagonista Casey Affleck ha vinto l’Oscar come migliore attore, si può definire il film del “disgelo”: si tratta di una ibernazione emotiva che, con lo svolgersi degli avvenimenti, sembra trovare una soluzione.
E’ anche uno dei migliori film passati al Sundance Film Festival del 2016. Si svolge in una cittadina della costa del nord-est degli Stati Uniti.
La fotografia di Jody Lee Lipes si rivela veramente interessante sostenendo l’equilibrio del film.
Lipes alterna due tipi di luce: il giorno è quasi sempre grigio e nuvoloso (luce che sembra preferire) e la notte appare stellata.
Con tutti i toni di grigio utilizzati, mare e cielo si mescolano e specialmente il particolare grigio-verde del mare confonde e rende immobile anche il ricordo.
Le case della cittadina non mostrano ombre e tutto si percepisce come privo di suoni, fisso e congelato, a parte, in alcuni momenti, l’accompagnamento di musiche di Handel e Albinoni.
La struttura di alternanza fra passato e presente costruita dal regista e anche sceneggiatore Kenneth Lonergan, senza mai sconfinare nello schematico, fa comprendere la ragione della fissità emotiva del protagonista e viene ben interpretata dalle immagini che, a loro volta, lo isolano quasi emarginandolo all’interno delle inquadrature.
Lo stesso isolamento, sempre all’interno delle inquadrature, vale anche per il coprotagonista.
Va sottolineato come l’efficace collaborazione tra fotografia e regia abbia trasformato i traumi, i silenzi, le difficoltà dei sentimenti in immagini precise, valide, preziose che “parlano”, e si esprimono, dimostrando come anche senza l’uso della parola si possano raccontare non solo i fatti ma anche le emozioni.
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