Qual è il tempo di posa per fermare il lampo di uno sguardo? Qual è l’apertura necessaria a coglierne la profondità? Quale sensibilità occorre adottare per sondarne il pathos? Domande senza senso per chi ricerchi persino negli sconosciuti incrociati per strada la dolcezza, la concentrazione e la tristezza del primo sguardo che ha colpito l’animo in un tempo tanto remoto da sfumare ogni cosa nel sogno. Eppure c’era. Eppure la felicità ed insieme il dolore che quello sguardo ha lasciato scolpiti negli occhi e nella mente sono troppo vividi per essere stati solo immaginati.
Mi dai una sigaretta? Non ricordo più in quale lingua mi fu chiesto, ma ricordo molto bene le chiacchiere che da quella sigaretta scaturirono insieme al fumo. Venne fuori la storia di una persona che aveva lasciato il suo Paese per girare il mondo e correre l’avventura, cercare fortuna e trovare la rovina, che ricordava di avere visto l’Italia ma non rammentava più qual era quella grande città con il mare così azzurro e la gente così cordiale. Aveva trovato l’amore, grande, appassionato, violento e l’aveva perduto per gioco. E più parlava, più la bocca sdentata alternava sorrisi dolcissimi ed increspature di sofferenza ed il fumo rimaneva sempre più a lungo nei polmoni ormai saturi. Ti posso fotografare? gli ho chiesto. Si, mentre parliamo, ma bada: non di nascosto! Non era lo sguardo che cerco, non era il ricordo che mi insegue ma era la vita. Altrove ed in altri momenti altri sprazzi di vita, negli sguardi profondi, distratti ma assorti, silenziosi ma urlanti, ilari e delusi, tutto allo stesso tempo, mi hanno sfiorato e non scambierei la testimonianza di quegli istanti con nessuna splendida architettura e nessun sognante paesaggio, con nessun colore sgargiante e nessun chiarore stellare, quand’anche fosse la mia prima ed unica foto perfetta.
Di chi quel lontanissimo sguardo? Perché così caro e cercato? Ma poi, in fondo, non è la materia di cui son fatti i sogni?
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