Fotoit – luglio/agosto “L’ibrido nella fotografia contemporanea” ultima parte

di Paola Bordoni

Un processo ibridativo di gran lunga più ampio e che coinvolge non solo il risultato finale ma tutto il passaggio creativo, lo ritroviamo nell’opera della fotografa Linda Fregni Nagler con la manipolazione di immagini d’archivio. Per la complessa opera “The Hidden Mother” l’artista attinge dalla sua vasta collezione di foto autoriali ed anonime selezionando ritratti di bambini sorretti da madri velate; fino ai primi decenni del Novecento, il genitore che teneva il bambino dritto nel lungo tempo di esposizione, veniva nascosto con diversi artifizi, di solito un velo.  Le singole immagini sono state rifotografate, manipolate, trasformate in scala, montate ed accostate per creare un unico complesso di 997 fotografie organizzate in una teca di vetro, dove il singolo scatto supera la mera documentazione  per diventare tessera di un mosaico totale e corale. Il processo creativo  in questa artista non si limita alle sole immagini: è la stessa azione dell’artista che si ibrida, sovrapponendo i diversi ruoli di fotografa, di collezionista, di elaboratrice e di curatrice.

Ruth Van Beek Hibernator

All’interno del vasto e complesso panorama degli artisti che usano il processo ibridativo vi è anche una forte dimensione concreta ed artigianale che ritroviamo, ad esempio, nelle immagini di Ruth Van Beek che taglia, piega, incolla il materiale fotografico attingendo al suo vasto archivio, formato attraverso una costante ed attenta ricerca, con ritagli di giornale, immagini internet, pagine di vecchi libri e collezioni fotografiche. Nella sua estesa e complessa produzione spicca la serie “The Hibernators”, dove piccoli animali domestici, gatti, cani, porcellini d’india e conigli, dal muso spesso intenzionalmente rimosso, prendono nuove forme attraverso le piegature effettuate dalla fotografa sul supporto cartaceo dell’immagine stessa, dando vita ad un curioso catalogo dove le piccole creature assumono, come per magia, una nuova identità, ponendosi come mondo animale  ipotetico e possibile. Mi piace il modo in cui gli animali sono fotografati, specialmente nei libri pratici sugli animali domestici. I cani, i gatti, le cavie, i polli … Sembrano oggetti strani, costretti nel quadro dell’immagine, cercando una speranza perduta. Quando comincio a tagliare o piegare il ritaglio, cerco di liberare di nuovo l’animale dalla sua posizione, solo per catturarlo di nuovo in una nuova trasformata posa o forma.”

Se è possibile quindi indicare un filo rosso nel territorio estremamente mobile della produzione degli artisti che usano processi ibridativi, questo è rappresentato in primo luogo dalla perdita dell’asset tradizionale della fotografia, dove l’immagine non è più racchiusa nella referenzialità con l’oggetto e nel singolo scatto “dell’attimo fuggente” ma si sviluppa nel processo mentale e fisico di successiva realizzazione; è nella manipolazione ed ibridazione, il cui risultato può apparire spesso disorientante soprattutto per lo sganciamento temporale e per la rappresentazione di un reale ipotetico, che troviamo una nuova valenza fotografica. C’è inoltre un ampio uso di vecchie immagini personali o spesso d’archivio che vengono rifotografate, anche parzialmente,  per essere risemantizzate.

Ma in quest’epoca di transizione e di nuove concezioni e produzioni culturali, all’interno della fotografia contemporanea, queste tracce, questi fili conduttori che uniscono autori così differenti e opere così diverse, continueranno ad essere seguiti ed ampliati o, viceversa, la ricerca seguirà nuovi paradigmi, obbligandoci ancora una volta a mettere in discussione i nostri parametri di lettura?

Fotoit – luglio/agosto “L’ibrido nella fotografia contemporanea ” prima parte

di Paola Bordoni

Tracciare una mappa di ricognizione per muoversi nel complesso e vasto mondo della ricerca fotografica contemporanea è impegno non da poco; per non perdermi, cercherò di tratteggiare solo alcune linee nella produzione che utilizza il processo ibridativo, impiegando e manipolando con tecniche artigianali o digitali prevalentemente immagini, siano esse fotografie familiari, industriali, scientifiche o di archivio. L’originale immagine viene smontata, rifotografata, tagliata, ricomposta, spezzettata, sovrapposta ottenendo attraverso  un processo ibridativo  una nuova interpretazione visiva.

Una delle caratteristica più incisive di questo processo di commistione è spesso lo scardinamento totale del concetto che le immagini riproducano la realtà, anche se ormai si è consapevoli che questa esattezza riproduttiva non può prescindere da una lettura personale ed interpretativa che, sviluppando un processo mentale, integra la visione con le idee, i ricordi e le emozioni che fanno parte della nostra storia personale cognitiva. Questo scardinamento si applica spesso non solo alla dimensione spaziale ma anche a quella temporale, come nell’opera “New Vedute – Alternative Postcard from Rome” dell’inglese Simon Robert, presentato in occasione dell’ultimo Festival della Fotografia a Roma. La serie di immagini è stata realizzata attraverso un procedimento ibrido, ossia manipolando cartoline della città, di diversa origine e di diverse epoche, con la sovraimposizione di istantanee contemporanee scattate dall’autore. Il risultato di questa stratificazione, ottenuta utilizzando da una parte materiale storico cartaceo e dall’altra uno scatto digitale, è la percezione consapevole del flusso del tempo, che sovverte radicalmente il concetto dell’immagine come registrazione dell’istante unico.

Chino Otsuka Immagine Finding Me

Questo  processo moltiplicativo del tempo è presente anche nella produzione di Chino Otsuka; nella preziosa ed intima serie “Immagine Finding Me” la fotografa giapponese narra contemporaneamente il passato ed il presente inserendo l’immagine di se stessa adulta negli scatti che la ritraggono nell’infanzia, per ottenere una nuova visione ibrida dove l’elaborazione digitale diventa uno strumento, quasi una macchina spazio/tempo, per consentire un viaggio di collegamento tra il presente ed il  passato.

Chino Otsuka Memoryscapes 

Nella più recente “Memoryscapes” la stessa fotografa ci introduce, in modo più diretto, ad un’altra caratteristica peculiare presente nella manipolazione ibridativa: l’utilizzo di vecchie immagini personali che vengono rifotografate, limitando la nuova fotografia solo ai particolari che sono nei bordi, a ciò che non è stato soggetto dello scatto. “Ho scelto con cura una piccola selezione di vecchie fotografie che ho ri-fotografato ingrandendo l’immagine. Fornendo una nuova cornice alle fotografie, le immagini frammentate e sfuocate di memorie distanti iniziano a raccontare le proprie storie”. Chino Otsuka riallaccia ancora una volta il rapporto tra l’ identità personale e la memoria in un gioco infinito di rimandi tra la tecnica e il tempo, tra il presente ed il  passato.

Vincitori del “Best iPhone Photos” 2017

di Paola Bordoni

Alla competizione, che premia le migliori fotografie realizzate utilizzando la fotocamera degli iPhone, hanno partecipato centinaia di fotografi  di 140 Paesi  per le varie categorie: viaggi, ritratti, animali…etc. Un premio giunto alla sua decima edizione che è diventato uno dei punti di riferimento anche tra i fotografi di professione.

Quest’anno  è stato proclamato vincitore del premio “Ritratto” Gabriel Ribeiro del Mato Grosso do Sul – Brasile  Brooklyn, New York. ” Questa foto è stata scattata nel mese di gennaio a mio cugino. Volevo fargli una  foto, siamo andati alla finestra più vicina e abbiamo cominciato a fotografare con luce naturale. Ho usato l’app Lightroom Mobile insieme a Snapseed per ottenere il risultato finale “

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Dina Alfasi – Israele, ha ottenuto il Primo Posto nella categoria “People”: “Scatto soprattutto scene e ritratti di strada, cercando di catturare momenti intimi. Ogni giorno vado a lavorare in treno e in autobus: per due ore ogni giorno sono accanto a persone diverse. In un primo momento, per passare il tempo, li osservavo e cercavo di indovinare dove stavano andando, quale era la loro storia…poi ho cominciato a fotografarli .”

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Brenda O Se da Cork – Irlanda  si è classificata al primo posto nella categoria “Fotografo dell’anno”.”Ho scattato questa foto in una camminata di prima mattina intorno ai porti di Jakarta nell’aprile del 2016. Queste erano le mani di un impiegato che stava prendendo una pausa. Sono stato colpita dalla trama creata dalla sporcizia accumulata sulle sue mani “.

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Joshua Sarinama di Cambrige Ma – United States è al secondo posto per la sezione Travel : “Ho preso quest’immagine nell’estate del 2016 nella mia città”

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A Sebastiano Tomada di Brooklyn, New York  è stato assegnato il gran premio “fotografo dell’anno: “I bambini erano nelle strade a Qayyarah  vicino al fuoco ed al fumo dei pozzi petroliferi incendiati dai militanti dell’Isis.”

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Francesca Tonegutti, Milano, Italia premiata per la categoria “Animals”:
“Yeguizo: è il nome del cavallo  che ho fotografato a Chiclana de la Frontera, in Spagna. La foto è stata scattata con un iPhone 6″.

Sources:http://www.ilpost.it/2017/06/27/iphone-photography-awards-2017/

Fotoit- Maggio “Underground” di Giulio Brega

di Paola Bordoni

Le porte del vagone della metropolitana si aprono ed insieme al largo finestrino mostrano il luminoso interno: tecnicamente potremmo salire, unirci nel breve viaggio under ground ma ne siamo respinti, tenuti fuori dalla posizione di chiusura dei passeggeri, intenti ad interagire solo con i loro smartphone e tablet, per controllare notifiche, like, mail. I passeggeri sono individui isolati, drammaticamente capaci di comunicare solo attraverso strumenti tecnici, estranei al vicino prossimo, anche a quello con il quale c’è contatto fisico. Il soggetto di questa immagine è negli sguardi  che non si incontrano, non si incrociano, lasciando le persone perse ciascuna nella propria solitudine ed incomunicabilità. L’atmosfera di un banale luogo della vita quotidiana si riempie di un silenzio soffocante, che satura ogni spazio dell’ambiente creando quasi una sospensione metafisica, dove scompare anche il futuro ed ovvio movimento del mezzo di trasporto. Giulio Brega, nel tempo sottile di uno scatto, apre ad una visione del quotidiano carica di  profondi significati psicologici e concettuali.

Save the date: 27 luglio 2017. Nikon festeggia i suoi primi 100 anni.

di Paola Bordoni

100 anni di attività : il famoso marchio Nikon festeggerà il 27 luglio 2017 il centenario dell’inizio della sua produzione. Forse non tutti sanno che l’azienda, nata  con il nome Nippon Kogaru (ottica giapponese), deriva dalla fusione di tre piccole industrie ottiche, sotto il controllo della Mitsubishi. L’azienda era specializzata nella realizzazione di sole lenti e strumenti di precisione per fotocamere, binocoli, microscopi e strumenti di rilevazione. Nel 1948 fu realizzata la prima fotocamera, alla quale venne dato il nome Nikon I. Il primo modello fu seguito ad intervalli regolari da altre versioni, sempre a telemetro. Nel 1959  fu messa in commercio  la prima reflex, , la Nikon F.   L’azienda festeggerà la ricorrenza con un marchio tutto nuovo, un sito Web dedicato (http://www.nikon.com/100th/)  e un cortometraggio in streaming.

Source: http://www.nital.it/press/

Fotoit – Febbraio ” Giorno di festa “di Clara Calamai

di Paola Bordoni

Un ricevimento? un gala? o forse proprio l’esclusivo Royal Ascot? dove vanno le tre eleganti ladies dai cappelli appariscenti? La fotografa Clara Calamai ha avuto la capacità di saper cogliere l’attimo, con un colpo d’occhio davvero brillante, suscitando la nostra curiosità e facendoci sorridere per l’humor spontaneo della scena. Dobbiamo resistere, però, alla tentazione di “spiegare” con le parole questa immagine, perché la sua leggerezza ed il suo umorismo sono proprio lì, nello sguardo rapido, nell’incongruenza  tra la comune strada piena di macchine e l’eleganza degli abiti, nel rapido affrettarsi in fila indiana su sbiadite strisce pedonali; quando commentiamo un’immagine percepiamo le parole in modo differente dalla semplice percezione visiva, entrando queste diversamente nel nostro ambito conoscitivo; alcuni scatti hanno già una loro propria autonomia ed a volte ad analizzarli con le parole, come per le barzellette, si perde la risata.

Napoli si mobilita per salvare 500mila scatti dell’archivio Carbone con il crowdfunding

12.000 euro raggiunti in pochi giorni: è questa la cifra che è stata raccolta con una colletta virtuale per salvare l’archivio di immagini del fotografo Riccardo  Carbone (1897-1973);  realizzava 4-5 servizi fotografici al giorno, tutti i giorni, coprendo ogni settore della cronaca, dallo sport alla mondanità, dalla mareggiata all’omicidio,dalla visita di Hitler a Napoli a quella di Kennedy, dalle feste popolari all’arrivo di Hemingway. Circa 5000 scatti da salvare dalle muffe, da scannerizzare  e da catalogare.

L’Associazione che si occupa dell’archivio, dopo una prima richiesta di aiuto rivolta alle istituzioni e rimasta inevasa, ha lanciato il crownfounding puntando a raccogliere i fondi necessari per il progetto complessivo che prevede il restauro e la catalogazione di 500mila negativi e la loro messa on line

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1938 Visita di Hitler a Napoli
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1948 il tram
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1963  J.F. Kennedy
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1958 partenza in Vespa

 

Source:  www.huffingtonpost.it

Roberta Basile: Noi Vivi

di Paola Bordoni

Sul nuovo numero di Riflessioni edito dalla Fiaf  sono stati pubblicati le immagini dei finalisti di Portfolio Italia – Gran premio Hasselblad,  accompagnati da un breve testo critico. Ecco alcune immagini di Roberta Basile

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Wikipedia: ”mash-up in termini informatici è un sito od un’applicazione web di tipo ibrido, cioè tale da includere dinamicamente informazioni e contenuti provenienti da più fonti. Viene anche usato in ambito musicale e letterario”. In italiano viene spesso tradotto con il termine “poltiglia” ma forse la versione migliore è quella che indica nel mashing up l’azione di ridurre a pezzi una sostanza per trasformarla in qualcosa di omogeneo. Ed è questa l’azione che Roberta Basile, nel suo portfolio “Noi vivi”,  ha fatto su Napoli e la sua area metropolitana, riducendo in piccoli pezzi e poi unendo in un caleidoscopico progetto le diverse e profonde realtà della società mediterranea con la sua iconografia e la sua ridondanza poetica; una città dove convivono e cozzano realtà diverse, la disoccupazione, il fanatismo religioso, il culto dei media, l’integrazione razziale. La sequenza fotografica, in uno scorrere continuo, è aggressiva, densa di profonde emozioni, con un impatto visivo forte mai filtrato, sottolineato e voluto attraverso un linguaggio fotografico da cronaca in bianco e nero, che fa anche da collante per assemblare immagini di eventi e contraddizioni di una società magmatica e caotica. In questo racconto la fotografa si inserisce, diventandone parte indivisibile, perché questa terra è anche il suo orizzonte quotidiano. Con i suoi scatti dai tagli spesso esasperati, il contrasto graffiante quasi materico, ci restituisce la visione di una città complessa ma profondamente umana liberata dalla retorica e dai luoghi comuni, affrontando il racconto complesso, articolato ma coerente di una società in trasformazione, senza rimanere costretta nei limiti del singolo istante/scatto. La narrazione trova il suo titolo “Noi Vivi” nell’immagine realizzata in un tunnel sotterraneo, utilizzato come rifugio antiaereo nella seconda guerra mondiale, icona riassuntiva di tutto il progetto, quasi un manifesto inciso su di un muro: al di là  dei sacrifici, delle lotte, dei fanatismi, degli stereotipi mediatici cristallizzati, la vita, l’energia interiore  a Napoli non si arrende.

 

Fotoit – novembre Maria Concetta Restivo

di Paola Bordoni

Ritratto, in un sapiente bianco e nero, di una giovane donna dal volto serio, lo sguardo deciso, sottilmente ostile, le labbra chiuse, su di uno sfondo che crea una sorta di aura luminosa intorno al capo; ma è nel velo, nel quale si riconosce con evidenza una bandiera americana e che le incornicia il volto, che cogliamo il significato aggiuntivo, il “punctum“ barthesiano, anche se voluto dalla fotografa, che ci attrae e ci “trafigge” modificando, con la sua presenza, la lettura classica del ritratto. E’ il velo che provoca in noi un turbamento intimo, un fermento emotivo, la tensione dell’inafferrabile che si vuole svelare. Il velo che copre il capo è un richiamo ad una tradizione millenaria, che passa attraverso diverse culture con diversi significati, ma in questa immagine ci manifesta una prospettiva completamente nuova, contrastando e confondendo le nostre certezze.

Source: http://www.fotoit.it/2016/