La fotografia stenopeica di Stefano Marcovaldi -Seconda parte

L’arte di catturare un’immagine attraverso un dispositivo stenopeico raggiunge il suo apice di popolarità negli anni ottanta dell’Ottocento. L’era della moderna fotocamera con obiettivo nitido ha segnato la fine della fotografia stenopeica come una delle principali forme d’arte. Tre decenni fa Eric Renner ha resuscitato la forma con la sua pubblicazione Pinhole Journal che ha inaugurato una rinascita di interesse da parte di artisti che cercano una visione alternativa spesso concettuale e un’alternativa alla fotografia a fuoco nitido. Renner e Nancy Spencer, grazie a questo sforzo, hanno costruito la più grande collezione al mondo di arte stenopeica da 31 paesi e 500 artisti comprendenti 6000 immagini. Pinhole offre nuovi modi di esplorare il mondo utilizzando i meccanismi più semplici e improvvisati modellati su scatole di avena, conchiglie di mare e altri materiali sorprendenti per creare immagini di bellezza misteriosa, a volte inquietante in paesaggi onirici, ritratti, nature morte, astrazioni e immagini politicamente cariche. Nel foro stenopeico è l’oggetto della fotocamera che guarda ma l’artista che vede, spiegando così il notevole mistero e la poesia che è la fotografia stenopeica. Primitivo in termini tecnologici, ci permette di visualizzare cose che non possiamo vedere. Una fotografia realizzata con la fotocamera stenopeica è sempre una registrazione dello “sguardo” della fotocamera, che mostra ciò che guardava, non ciò che vedeva l’essere umano. Il fotografo non costruisce più rappresentazioni soggettive; si limita ad assistere alla nascita dell’immagine. 

La migliore abilità artistica raggiunta oggi nella fotografia stenopeica e per la maggior parte mai pubblicata prima, dagli artisti come Paolo Gioli (Italia), Shi Guorui (Cina) e Bethany de Forest (Paesi Bassi) si uniscono a un elenco eccezionale proveniente da tutto il mondo celebrando la natura completa di questa antica arte fotografica.

La storia potrebbe così continuare ancora a lungo, invece noi ora passiamo alle descrizioni delle tecniche per la realizzazione di questa SCATOLA MAGICA.

Nella costruzione della nostra scatola sono tre i valori importanti nella sua realizzazione:

La Lunghezza Focale

Il Foro Stenopeico

Il Numero F

                   Lunghezza di Focale

Quindi la prima cosa da fare è determinare il formato del fotogramma ed in base a questo scegliere la lunghezza focale che appunto rappresenta la distanza tra il foro stenopeico ed il supporto fotosensibile della fotocamera (rullino, carta, sensore, ecc.). Valore espresso in millimetri. 

              Diametro migliore del Foro Stenopeico

Il diametro più stretto che bisogna trovare deve dare il migliore risultato di nitidezza senza scendere troppo perché si rischia di peggiorare la resa. Esistono varie formule matematiche che permettono di calcolarne il migliore. In ogni formula la variabile più importante è la lunghezza focale. Alcune formule tengono conto anche della lunghezza d’onda della luce.

Per non complicarsi nei calcoli si può usare la seguente formula:

In pratica, esprimendo tutto in millemetri, il diametro del foro dipende dalla radice quadrata della distanza tra foro e pellicola (la focale) moltiplicata ad un coefficiente pari a 0.0013

                  Il Numero F

Calcoliamo il numero f della nostra macchina stenopeica.

Il diaframma è un’apertura che determina la quantità di luce che colpisce il piano focale.

Comunemente chiamato numero f ed è rappresentato da un valore che indica il rapporto tra la focale e il diametro del foro.

L’esposizione è strettamente legata a questo numero. 

Un diaframma più o meno chiuso permette al passaggio, minore o maggiore di una quantità di luce sul piano focale, il che a sua volta crea così il tempo di posa.

Nella fotografia stenopeica, dove i numeri f sono molto elevati, il tempo d’esposizione è di norma lungo.  Da qui nasce l’importanza di conoscere bene il numero f, del proprio foro stenopeico, perché questo ci consente di calcolare il tempo necessario per l’esposizione.

Vediamo come calcolarlo con un esempio pratico:

Avendo una fotocamera con una lunghezza focale di 25 mm ed un foro di diametro di 0.20 mm

Il numero così ottenuto sarà pari a f/125

(segue)

©stefano marcovaldi

La fotografia stenopeica di Stefano Marcovaldi

   Foto in punta di spillo         

Può sembrare strano che nel secolo attuale, il secolo del Digitale, si continui a parlare di qualcosa che ha molto di più degli oltre 150 anni della fotografia, 1889.

A parte ad un nutrito gruppo di fotoamatori molti non conoscono la foto Stenopeica e ritengono che sia impossibile ottenere foto senza l’uso di un obiettivo e una macchina fotografica.

Ma la nostra SCATOLA è una macchina fotografica, seppure primordiale, che rispetta tutte le leggi dell’ottica e del procedimento fotografico più classico.

               “Una Scatola Magica

Incredibile ma vero: un semplice forellino piccolo e molto preciso può sostituire l’obiettivo fotografico; i tempi di posa richiesti sono molto lunghi, ma in compenso la profondità di campo è pressoché totale.

C’era una volta…. 

Così iniziano le storie che partono da lontano, e il nostro racconto infatti ha inizio con l’arte di catturare un’immagine attraverso un dispositivo stenopeico e risale prima all’antica Cina per poi passare ai Greci e infatti si dice che i principi su cui si basa fossero già noti ad Aristotele nel IV secolo a.C., allo scopo di osservare un’eclissi di Sole, ed anche grazie a ciò che sappiamo riguardo le sue osservazioni sulla luce, sui colori e sul senso della vista.

Nell’XI secolo e precisamente nel 1039, con largo anticipo sugli studi successivi, se ne occupò l’erudito arabo Alhazan Ibn Al-Haitham che la usò anche lui per osservare un’eclisse. Lo stesso fece il monaco francese Guglielmo di St.  Cloud il quale si servì della camera oscura per osservare l’eclisse solare del 5 giugno 1285.Gli studi dell’arabo Alhazen sui raggi luminosi e sulla teoria della visione furono tradotti dal monaco Vitellione nell’opera Opticae thesaurus Alhazeni arabis.

Successivamente.

Nel 1292 Guglielmo di Saint-Cloud per le sue osservazioni astronomiche utilizzò la proiezione dell’immagine del Sole su uno schermo mediante una camera oscura, il cui funzionamento è spiegato nel prologo della sua opera Almanach planetarum

 E’ comunque accertato che fu nel Cinquecento che si lavorò intorno a questo oggetto, che veniva già usato spesso dai pittori (come vedremo in seguito). 

Leonardo da Vinci descrisse nel 1515, nel “Codice Atlantico”, considerato il più grande ed affascinante trattato di tecnica, un procedimento per disegnare edifici e paesaggi dal vero, che consisteva nel creare una camera oscura nella quale veniva praticato un unico foro su una parete, sul quale veniva posta una lente regolabile (come verificò Gerolamo Cardano). 

Sulla parete opposta veniva così a proiettarsi un’immagine fedele e capovolta del paesaggio esterno, che poteva essere copiata su un foglio di carta (“velo”) appositamente appeso, ottenendo un risultato di estrema precisione.

 Immaginò così la camera oscura, premessa per la macchina fotografica, descrivendone, pur senza averla realizzata, il funzionamento basilare: una scatola con forellino centrale, attraverso il quale passava l’immagine di un qualsiasi oggetto illuminato che si proiettava, rovesciata, sulla superficie interna, opposta e perpendicolare a quella su cui era stato praticato il foro. 

Con la camera oscura Leonardo intendeva dimostrare che le immagini hanno natura puntiforme, si propagano in modo rettilineo e vengono invertite dal foro stenopeico, arrivando a ipotizzare che anche all’interno dell’occhio umano si avesse un analogo capovolgimento dell’immagine.

 Il 24 gennaio 1544 Gemma Rainer detto Frisius, un fisico olandese, anche lui osservò l’eclissi di Sole proprio per mezzo di una camera oscura.

Nella sua opera del 1568, Pratica della prospettiva, Daniele Barbaro descrisse una camera obscura con lente, che permetteva lo studio della prospettiva.

Il termine camera obscura fu utilizzato per la prima volta da Giovanni Keplero, nel 1604, nel suo primo trattato di ottica,  Ad Vitellionem paralipomena. Nel 1620 Keplero usava una specie di tenda da campo come camera obscura. Una lente ed uno specchio sulla sommità della tenda rinviavano l’immagine su un piano all’interno così poteva effettuare i suoi rilievi topografici. 

Gli studiosi italiani del Rinascimento contribuirono in modo notevole a porre i fondamenti ottici della moderna fotografia. Nel Seicento divenne frequente l’uso della camera obscura portabilis: una scatola con una lente da una parte ed uno schermo di vetro smerigliato dall’altra, cosicché l’immagine poteva essere vista dall’esterno della camera. 

Gli artisti del seicento fecero largo uso della camera obscura sia per disegnare ritratti che paesaggi. 

Una camera oscura gigante fu costruita per tale scopo nel 1646 ad Amsterdam dall’olandese Athanasius Kircher; le dimensioni erano tali che il disegnatore poteva entrarvi all’interno. Un 

piccolo buco su una parete consentiva alla luce di proiettare il paesaggio esterno sulla parete opposta.

 Il disegnatore in piedi tracciava su un grande foglio steso sulla parete i tratti del paesaggio. Il disegno veniva poi completato nello studio dell’artista.

Kircher intuì che il fenomeno di proiezione poteva avvenire anche al contrario, tant’è che ideò la cosiddetta lanterna magica, un proiettore di disegni che fu l’antenato dei moderni proiettori cinematografici.

Finalmente, nel 1685, il tedesco Johann Zahn realizzò una camera oscura di tipo reflex. Aveva posizionato all’interno uno specchio, collocato a 45° rispetto alla lente dell’apertura, che rifletteva l’immagine su un vetro opaco. Ponendo un foglio da disegno sul vetro, era possibile ricalcare i contorni visibili dell’immagine così proiettata. Zahn costruì in seguito una macchina più piccola e trasportabile ovunque. Nel XVIII secolo risultavano largamente utilizzate le camere obscure dai pittori nell’impostazione di quadri con problemi prospettici, come Bellotto e Giovanni Antonio Canal, dettoIl Canaletto (la cui camera oscura originale si trova al Museo Correr di Venezia), i quali, grazie a questo strumento, acquisirono quella precisione “fotografica” nel fissare i paesaggi che ancora li rende celebri. Anche Antonio Vallisneri possedeva una camera ottica nella propria collezione. Si ipotizza che anche il Caravaggio utilizzasse la camera oscura per preparare delle bozze dei suoi quadri.

Questi studi furono alla base dello sviluppo della lanterna magica, spettacolo di proiezioni antenato del cinema, fin dall’inizio infatti era previsto di poter eventualmente usare la camera oscura anche come lanterna magica, cioè come una sorta di proiettore di diapositive.

Uno strumento di grande ausilio per disegnatori tecnici e pittori che continuò ad essere usato per almeno due secoli.

Un esempio di camera oscura risalente al Settecento, molto ben conservato, tuttora funzionante e visitabile, si trova nel Liceum della città di Eger in Ungheria.

Ed in Italia è stata realizzata recentemente a Voghera, nella torre nord-ovest del Castello Visconteo, la prima “Camera Obscura” stabile esistente in Italia dove,attraverso un foro, viene proiettata l’immagine esterna dei giardini e della cupola del Duomo. 

©stefano marcovaldi

Le immagini della mostra

Si è conclusa la mostra fotografica dedicata al “Confini” tenuta nei giorni 24 e 25 giugno al parco Garbatella in occasione della XXX edizione della festa per la Cultura organizzata dall’Associazione culturale Controchiave .

Testo di Corrado Seller

Pannello 1: immagini di Aldo Carumani, Aldo Carumani, Franco Brilli, Franco Brilli

Pannello 2: immagine di Sergio D’Alessandro

Pannello 3: immagini di Fabio Faltelli, Fabio Faltelli, Franco Brilli, Magda Laini

Pannello 4: immagini di Andrea Cascino, Magda Laini, M.Luisa Giorgi, Lucio Baldelli

Pannello 5: immagine Andrea Cascino, M.Luisa Giorgi, M.Rosaria Marino, Maurizio De Angelis

Pannello 6: immagine di Massimo Giannetti

Pannello 7: immagini di Anna Ranucci

Pannello 8: immagine di Corrado Seller

Pannello 9: immagini di M.Rosaria Marino, Maurizio De Angelis, Maurizio De Angelis, Monica Ferzi

Pannello10: immagini di Francesco Moniello, Francesco Moniello, Lucilla Silvani, Magda Laini

Pannello11: immagini di Lucilla Silvani, Massimo Giannetti, Monica Ferzi, Sergio D’Alessandro

Pannello 12: immagini di Paola Bordoni

Mostra “Confini” alla Festa per la cultura

Anche quest’anno il Circolo PhotoUp sarà presente con una sua mostra alla Festa per la Cultura organizzata dall’Associazione Culturale Controchiave.

Il progetto della mostra è nato nell’ambito dei Lab di Cult del Dipartimento per la Cultura Fiaf.

La mostra sarà esposta il 24 e 25 giugno al parco della Garbatella – Via Rosa Raimondi Garibaldi

Talent Scout FIAF : Rossella Mele

di Paola Bordoni pubblicato in Fotoit maggio 2023

Playmore è un’organizzazione no profit presente a Milano con l’obiettivo di occuparsi di sport  e, attraverso l’incontro tra persone, promuovere inclusione sociale e integrazione oltre ogni differenza di età, condizione sociale ed etnia. Nella nostra società caratterizzata, soprattutto negli ultimi tempi, da episodi di intolleranza verso le diversità, le pratiche sportive praticate attraverso il rispetto delle regole e la partecipazione attiva possono creare sinergie destinate a far condividere emozioni, attivismo  e passione.

Nel quartiere Brera di Milano, dove ogni superficie è luogo di profitto, lo spazio sociale di Playmore, stretto tra palazzi e attività commerciali, è occupato solo dalle persone e dalla volontà di voler aprire un ampio orizzonte di socialità e aggregazione. Non a caso l’autrice cita la famosa frase di Zeus nel film Hercules della Disney : “a hero is not measured by the strenght he has but by the strenght of his heart.”

Ma per narrare tutto questo a volte le parole non bastano. Difficile rappresentare l’accogliente singolarità e la specifica validità di uno spazio destinato all’attività sportiva sociale come inclusione e solidarietà in contrapposizione allo sport passivo  mainstream dei media televisivi.

La fotografa Rossella Mele affronta la narrazione attraverso colori, energia, forme, sorrisi, entusiasmi e movimento per mostrare la misteriosa persistenza dell’amore e della integrazionenelle attività che solo apparentemente hanno finalità ludiche. L’uso misto del primo piano e del tutto campo, della ripresa del soggetto singolo e del gruppo, del movimento e del riposo muovono nello spettatore meccanismi di partecipazione con l’impressione di assistere a quegli stessi dinamici eventi, di essere lì pronti a cogliere il pallone dopo un giusto tiro, a battere il cinque per un colpo ben misurato, a stringere in un abbraccio il compagno di partita.

Ma le immagini di Rossella Mele creano anche una condivisione e una integrazione più profonda e intima nell’ambito della memoria collettiva e sociale, che pure sembra impossibile, in quanto i ricordi sono del tutto individuali. L’uso iniziale ed essenziale della fotografia è stato quello di cercare di fissare il tempo, il momento, lo stato d’animo e creare un ricordo condiviso da persone non più estranee tra di loro in quanto soggetti dello stesso scatto, stampato ed incorniciato, magari ritrovato e rivisto dopo anni. Queste fotografie offrono l’opportunità di riconoscersi in un’immagine che non racconti solo il ‘micro-io’ ma il ‘noi’ in una memoria ampia di interconnessione tra diverse culture e realtà socio-economiche.

Il linguaggio fotografico di Rossella Mele fa emergere da uno sfondo omogeneo ritratti dal peso figurativo o cromatico forte, deciso; sono documenti sinceri, che mirano al dialogo diretto, puntando ad una comunicazione che è anche volontà di mettere in comune, di condividere. E’ questo forse il valore aggiunto  che unisce tutte le immagini della fotografa: la volontà di coinvolgere, anche noi, nel dialogo emotivo e confidenziale che si svolge tra l’autore e l’attore, perché la macchina fotografica consente di conoscere gli altri e, al tempo stesso, di conoscerci in modo diretto, meno mediato di tanti altri linguaggi.

“All these places had their moments, With lovers and friends I still can recall Some are dead and some are living In my life I’ve loved them all.”*

 *In my life  – The Beatles 

Contest di marzo: ……e avrà i tuoi occhi

La foto più votata per il contest …..e avrà i tuoi occhi è stata l’immagine di Lucilla Silvani

Lucilla Silvani: Ancora guardo con i tuoi occhi

Di seguito le altre immagini partecipanti:

Lucio Baldelli
Massimo Giannetti
Corrado Seller : Dies irae
Magda Laini
Paola Bordoni
Maria Luisa Giorgi: Sguardo di mamma
Maria Rosaria Marino: La pace avrà i tuoi occhi

Contest di febbraio : L’attesa

La foto preferita per il contest “L’attesa” è stata quella di Lucio Baldelli in copertina

Di seguito le altre immagini

Andrea Cascino
Corrado Seller : Tenera è la notte
Maria Luisa Giorgi
Massimo Giannetti
Paola Bordoni

Lady torna qui di Sabrina Garofoli

Testo di Paola Bordoni

Strano e alienante che per leggere un’ immagine l’unico processo possibile sia l’uso delle parole, quando

la sua comprensione coinvolge la sfera cognitiva, culturale ed emotiva del fruitore; eppure devo fare la

mia parte di commentatore, cercando di andare oltre il visibile immediato: Lady torna qui….gli occhi di

un cane …una strada nebbiosa….un padrone lontano e in un atteggiamento che lo fa percepire forse

minaccioso. Certamente mi affiderò alla ‘road map’ degli strumenti di lettura conosciuti e

riconosciuti che possono riuscire a individuare anche scelte impercettibili della fotografa, respingendo la

tentazione di rendere tutto comprensibile, ma anzi in piena consapevolezza di quanto soggettivo possa

essere il mio ‘leggere’, poiché ciascuno di noi possiede un proprio immaginario, una propria memoria e

un proprio vissuto. Lo scatto è connotato da una precisa e accurata suddivisione geometrica dello spazio

quasi perimetrato e chiuso, che sembra contrapporre la volontà dell’animale di non tornare indietro a

quella dell’uomo. opponendo al richiamo dell’uomo il desiderio di evasione e libertà. La cromia

desaturata dello sfondo, giocata nei toni della bruma, quasi lambisce il bianco/nero, inviando un

messaggio che decodifico come carico di tensione. Per le gerarchie della profondità di campo, il punto di

attrazione dell’immagine è negli occhi del giovane cane e nella striscia bianca della rasa pelliccia che si

prolunga in quella dell’asfalto, mettendo in stretta connessione animale e uomo. Forse è nella continuità

di questa riga che nella mia accoglienza dell’immagine si sviluppa una sovrapposizione tra contenuti

visibili e contesto personale di ricezione, tra esperienza sensoriale diretta e quella intellettiva, dovuta al

mio immaginario, alle mie conoscenze e alle mie certezze. L’inquietudine che la fotografia trasmette, pur

nella consapevolezza che il cane Lady è tra i pochi fortunati ad essere amato – il pelo lucido e curato, il

probabile appoggio delle zampe su una persona della quale si fida -, è dovuta alla convinzione che

l’equilibrio di corrispondenza tra essere umano e natura si sia irrimediabilmente spezzato e gli occhi

umidi di Lady, primo anello di mediazione tra l’uomo e la natura, con  muta urgenza, rivelino che il

qui’, come luogo che abbiamo dato per scontato, nel quale ci riconosciamo e sentiamo di appartenere,

ormai è per sempre irrimediabilmente cambiato.

Consigli di lettura: Cromorama di Riccardo Falcinelli

testo di Paola Bordoni

Pubblicato su Fotoit Aprile 2022

Uno dei più apprezzati visual designer del momento, Riccardo Falcinelli racconta, attraverso un ricco percorso per nulla forzato di

immagini, grafici ed esempi, l’inestricabile legame che ha unito ed unisce, oggi più che mai, il colore alla società, al nostro stesso

modo di pensare ed ai nostri comportamenti. Il libro narra come tutte le società abbiano organizzato e prodotto sistemi simbolici e

psicologici intorno al colore e come si sia formato lo sguardo moderno con poliedrici riferimenti all’arte, al cinema, all’editoria,

alla pubblicità, ai fumetti ed agli oggetti quotidiani in una visione a tutto tondo della società. Il volume, diviso in capitoli per tinte,

è di notevole mole ma è affascinante.

RICCARDO FALCINELLI

CROMORAMA

EINAUDI, 2017 – € 24,00

Mirko Zanetti Closures

Pubblicato su Singolarmente Fotografia di Fotoit: immagine di Mirko Zanetti

Commento di Paola Bordoni

Due sole figure, un adolescente e una donna, poste ai margini dell’immagine, speculari nella identica postura, braccia chiuse

attorno al corpo, in un rifiuto o nella pazienza di un’attesa che sembra infinita: tra loro uno spazio vuoto, dove una borsa è tenuta

sotto controllo dalle gambe di lei che la indicano come oggetto prezioso. Immagine racchiusa da un raffinato equilibrio tecnico,

segnato dal teso sguardo del ragazzo verso la donna, mentre questa con espressione angosciata guarda altrove, verso un futuro che

la preoccupa. Less is more, riduzione semplice e minimale a pochissimi elementi, a ciò che è essenziale, sospendendo le figure

fisiche in un’atmosfera rarefatta .

Quale miglior uso dell’immagine se non quello di scardinare il nostro comune senso del vedere, aprendo nuove possibilità di

lettura e codifica, perché nessuna fotografia può essere vista se non si è in grado di guardare.