Fotoit settembre: Vedere per credere (o no?)

di Paola Bordoni

Prima parte

Tutte le fotografie sono accurate. Nessuna di esse è la verità”– Richard Avedon

Argomento attuale e insidioso quello della manipolazione delle immagini. In mancanza di una disciplina giuridica univoca che distingua la realtà dalla sua alterata rappresentazione e il lecito dall’illecito, le regole di comportamento etico vengono affidate alle norme delle principali testate giornalistiche, delle associazioni di categoria, delle organizzazioni fotografiche ed alla morale professionale dell’autore.

Ma quando una immagine può definirsi falsa o manipolata? Qual è il confine etico che non deve essere superato?

Chi di noi non ha avuto esitazioni davanti all’immagine del miliziano di Capa, al crop di inquadratura della bimba Kim Phuc, immagine iconica della guerra in Vietnam, alla drammatizzazione ed enfatizzazione tonale del funerale dei due piccoli palestinesi uccisi dal bombardamento israeliano  a Gaza?

Fragile, lungo e malleabile è l’intero processo di produzione dell’immagine prima di arrivare al fruitore; i passaggi sono tanti e ognuno implica delle possibilità di scelte e alternative. La prima manipolazione è già insita nella stessa genesi dell’immagine: essa riproduce in bidimensionale oggetti tridimensionali, quindi non rappresenta la realtà ma la verosimiglianza. Il fotografo ha poi, nel momento dello scatto, una serie di opzioni che influiscono sul risultato finale e sul suo significato: dal taglio dell’inquadratura all’uso della compressione prospettica degli obiettivi, dai tempi di esposizione alla sfocatura e tante altre. L’immagine scattata continua poi il suo percorso tra decisioni del fotografo, dell’editor e del curatore, con molteplici possibilità e declinazioni di intervento che riescono a trasformare la ipotizzata realtà in una verità raccontata, filtrata, alterata attraverso molteplici passaggi.

Alla fotografia, sin dalla sua nascita, era stata attribuita una straordinaria oggettività ed autenticità in quanto offriva dati certi e testimoniali, risultato di un procedimento meccanico che rispondeva alle leggi dell’ottica e della chimica. Cosa si poteva volere di più rispetto alle interpretazioni artistiche e soggettive del pittore che non aveva neanche obbligo di presenza sull’evento rappresentato?