di Paola Bordoni
«A te ti frega la cultura, cerca di essere un po’ cretino, no?»
(Giovanna Ralli nel film La vita agra)
Sembra una semplice informale immagine di un microcosmo familiare: il papà, la mamma, le due figlie adolescenti che posano sorridenti. E’ successo a tutti di essere sottoposti al rito del ritratto di gruppo in occasione di ricorrenze (dai, sedetevi, mettetevi in posa che vi scatto una foto, sorridete!). Certo sono gli Obama e la stanza è la Green Room della Casa Bianca, ma la foto è spontanea, accattivante. Ci sembra di conoscerli (amici, i vicini di casa o forse quella famiglia che abbiamo incontrato durante le vacanze?). Poi la curiosità spinge a cercare il nome del fotografo: Annie Leibovitz. La famosa e raffinata ritrattista di celebrità? L’autrice di numerose e prestigiose copertine di riviste come “Vogue” e “Vanity Fair”? Ma com’è possibile che un quadretto e lo stipite di una porta spuntino dietro la testa di Sasha e di Michelle, che lo sfondo sia perfettamente leggibile e non sfocato? Che tutta l’immagine sembri essere piuttosto improvvisata? E’ noto invece che la fotografa svolga uno studio anticipato del soggetto e del luogo da ritrarre e che la sua preparazione sia minuziosa anche nei dettagli, dove nulla è lasciato al caso. Ad una più attenta lettura ci si accorge allora della perfetta ellisse formata dalla posizione dei soggetti, rafforzata dalle braccia che circondano ed abbracciano, dalle mani che si intrecciano suggerendo una forte intimità e complicità, dei due soli colori scelti per l’abbigliamento, il bianco ed il nero, con un chiaro rimando alla multietnica platea elettorale del Presidente e dove la forte rivendicazione dell’origine afro-hawaiana di Obama è rappresentata dalla donna/madre Michelle vestita interamente di scuro, nella cui figura l’inconscio collettivo identifica l’archetipo della identità nera.
Ma in questa immagine dov’è la “bugia” fotografica? Semplicemente la fotografa mente, con le tante imperfezioni, sulle sue capacità tecniche e visuali per dare un prodotto persuasivo e di rapida comunicazione emotiva, portatore di significati sovrapposti che si legano ai fatti sentimentali e ai ricordi dei fruitori: convince a fidarsi.

I codici comunicativi usati per la produzione dell’immagine veicolano strategicamente, la nostra attenzione verso valori come amicizia, fiducia, complicità, semplicità, solidarietà, integrazione razziale. Portano a credere che il Presidente di una delle maggiori potenze mondiali sia un caro amico al quale rivolgersi perché fidato, sereno, premuroso, a tutti vicino. L’immagine del ritratto familiare agisce ed orienta persuadendo, attraverso i suoi artifici e le sue imperfezioni, i pensieri e le convinzioni. Niente può essere efficace come una fotografia, messaggio diretto e adatto a superare le diffidenze, per fare reagire emotivamente chi la guarda.
Durante l’amministrazione Nixon fu coniato il temine “photo opportunity” per indicare le immagini di un normale evento ma attentamente pianificato, il più possibile aderente alla realtà e destinate ad uso e consumo dei media. Le “photo op” sono diffusissime soprattutto tra le fotografie dei politici, nel tentativo di soddisfare le mutevoli aspettative del pubblico che nei leader ricerca ormai non più l’autorità ma l’autenticità, la spontaneità delle persone normali con risultati a volte molto diversi da quelli auspicati. Ha suscitato infatti i commenti ironici degli utenti di Twitter su possibili e fantasiosi incidenti l’immagine del Primo Ministro svedese Fredrik Reinfeldt che porta David Cameron, Angela Merkel e la loro controparte olandese Mark Rutte a fare un giro in barca sul lago davanti alla sua casa estiva, in vista di un mini-summit.

Nelle “photo op” la menzogna è nel costruire e attentamente pianificare un avvenimento con lo scopo di farlo apparire semplice e spontaneo, sfruttando un’analisi dell’immagine meno vigile ed accurata, proprio perché informale ed amichevole.
Ormai lo sappiamo bene, in un’epoca sempre più digitale le immagini sono codici comunicativamente ricchi e sempre più utilizzati, soprattutto a livello mediatico, per veicolare messaggi plasmati che direttamente o indirettamente interessano ed influenzano l’esistenza delle persone, ancor più perché alla fotografia è stato da sempre attribuito un dichiarato statuto di veridicità.
Quale può essere allora una soluzione possibile per non essere fotoanalfabeti, passivi consumatori d’immagini? Perché, nonostante tutto, abbiamo bisogno di loro per capire la società in cui viviamo. Occorrerà imparare a leggere le fotografie così come abbiamo imparato a leggere i testi, decodificandole come facciamo ormai abitualmente con tutto ciò che è scritto. Più conosci e più riesci a decostruire l’immagine mettendo in esame anche l’implicito. Questo processo di alfabetizzazione visiva non ha caratteristiche negative, non porta alla demonizzazione della fotografia come codice occulto e strumento di persuasione, ma anzi potrà essere motivo per conoscere logiche e meccanismi cognitivi, sviluppando capacità per capire appropriatamente e a fondo l’immagine che ci viene proposta.
Un esempio di quanto verificare e applicare un paradigma critico nella lettura di fotografie possa in realtà ampliare la fruizione della stessa? Nel 2016 il fotografo Naved Kander scattò un efficace ritratto al neo eletto Presidente americano Donald Trump. La foto era destinata alla copertina del Time che lo aveva eletto ‘uomo dell’anno’. L’immagine ci restituisce la raffinata raffigurazione di una persona infastidita, irritata, voltata di spalle al pubblico che in maggioranza lo aveva eletto, ma la rivista, nella composizione della copertina, ha fatto in modo che le due punte della M, per di più rosse, corrispondessero con la testa del Presidente, dandogli un’impronta diabolica. Coincidenza? Il giornale afferma assolutamente di sì, nulla di voluto, problemi di impaginazione. Ma il lettore accorto saprà e si divertirà nel “leggere” nell’imposizione delle corna la volontà da parte della testata, come già fatto in diverse copertine con altri personaggi, di beffare Trump da sempre in rotta con i media.

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