di Giselle Sartori foto di Filippo Tosi
Siamo a bordo della nostra jeep quando il gregge di pecore attraversa la pianura. Fermiamo il mezzo e osserviamo la scena. Un ragazzino ci passa di fronte portando al guinzaglio tre giganteschi pastori maremmani. Più in là, due asini trasportano gli animali appena nati che rallenterebbero la marcia. Rimaniamo affascinanti dall’armonia di quel tempo dimenticato e qualche settimana più tardi decidiamo di tornare.
Filippo segue la transumanza durante una gelida giornata invernale, adattandosi ai ritmi severi imposti dalla natura. Testimone silenzioso dell’attività di Fabio e Gabi, cattura i frammenti della vita pastorale con la sua macchina fotografica.
Il paesaggio nomade, antropizzato dal pascolo, fluisce nel tempo e nello spazio con movimenti ancestrali e solenni. Il silenzio della pianura, avvolta dalla coltre di nebbia, è rotto soltanto dal belare degli agnelli e dallo scampanellio degli asini.
Fin dalle primissime ore di luce, Fabio e Gabi, camminano alla ricerca di erba fresca per il loro gregge. Gabi è un uomo taciturno, ha la barba rossa e la sigaretta sempre accesa. Gira avanti e indietro seguito dal suo cane e finita la transumanza tornerà dalla sua famiglia in Romania. La presenza di un estraneo non distoglie l’attenzione dal suo unico compito: guidare le ottocento pecore bergamasche. “Il 90% degli allevatori impiegati nella pastorizia nella nostra regione sono rumeni”, spiega Fabio che proviene da almeno tre generazioni di pastori. Racconta delle numerose difficoltà legate al suo mestiere: l’urbanizzazione che strappa le terre al pascolo, il prezzo eccessivo dei materiali, la svalutazione dei prodotti lanifici sostituiti oggi da quelli sintetici, ma nonostante gli ostacoli continua a condurre le pecore. Un tempo, il padre di Fabio, compiva la transumanza in dieci giorni di cammino da Cremona alla Val Camonica. Oggi, invece, le pecore viaggiano su autotreni.
Lecito e proibito
Scopriamo dalle parole dei due pastori che il prodotto finale segue traiettorie di consumo differenti dal passato. La carne di Fabio e Gabi è destinata infatti al mercato musulmano del cibo halal, il cibo “permesso” dalla norme etico-sanitarie della legge islamica, la Shar’ia. Non solo la carne ma anche i formaggi possono essere halal. I principi che definiscono il concetto di halal (lecito) e haram (proibito) sono contenuti nel Corano, Libro Sacro dell’Islam e negli Hadith ovvero la raccolta di detti e gesti del profeta Muhammad.
Negli anni 50’ la pastorizia si sorreggeva sul mercato della lana, ma oggi il settore ha subito un forte declino. La tosatura delle pecore avviene esclusivamente per il benessere degli animali. “La lana non si vende più e la pecora è diventata carne da macello” commentano i pastori. A partire dagli anni 90’, con le prime ondate migratorie di musulmani verso il nostro Paese è aumentata la richiesta di carne ovina, immancabile sia nelle celebrazioni che nella tradizione alimentare islamica.
L’Occidente e l’affare dell’etica musulmana
Alla visione statica e monolitica della società pastorale, si oppone una dinamicità culturale espressa nella capacità di adattamento alle nuove forme economiche risultanti dal fenomeno dell’immigrazione nel nostro Paese. La pastorizia, come ogni altra forma culturale, partecipa inevitabilmente ai cambiamenti della modernità.
Il fenomeno dell’immigrazione ha trasformato diversi settori dell’economia per rispondere ai bisogni attuali della società moderna.
L’economia è attratta dal nuovo affare “halal”, e la pastorizia ha scoperto nella religione islamica una nuova fonte di sopravvivenza.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.