Dalla Cina con amore di Michela Poggipollini

Ho sempre saputo del grande amore tra mio padre, marò italiano del Battaglione San Marco e mia madre, ragazza danese proveniente da un’agiata famiglia. Un amore nato a Shanghai durante la seconda guerra mondiale e molto contrastato, tutti elementi che lo rendevano ai miei occhi molto romantico.Mia madre mi disse che quando mio nonno seppe dell’amore di sua figlia per un soldato italiano, di cui non si conosceva la famiglia, per giunta appartenente allo schieramento dell’Asse e campione di boxe, non volle più vederla, non andò al suo matrimonio né alla sua partenza per l’Italia, dove c’era, di nascosto,soltanto mia nonna.

Mio padre, il più piccolo di cinque fratelli,  aveva avuto una infanzia difficile. Mio nonno,che faceva parte del gruppo fondatore del Partito Popolare guidato da Don Sturzo,morì a soli trentotto anni, stroncato da un infarto durante un dibattito politico, quando mio padre aveva solo due anni. Il fratello maggiore sin da piccolo gli insegnò i primi rudimenti della boxe per potersi difendere. Successivamente lo iscrisse ad una palestra dove subito cominciò a vincere. La sport lo aiutò a trovare una strada in cui realizzarsi che gli tornerà utile anche nel futuro.

Quando papà andò in pensione, si comprò una Olivetti portatile, un piccolo tavolino di noce e cominciò a scrivere, per molte ore della giornata,la sua grande avventura in Cina. Quando andai io stessa in pensione, mentre riordinavo la libreria, trovai un libro verde e capii che era la sua storia in Cina,di cui per molto tempo aveva scritto. Decisi allora di leggerla e fu per me una grande scoperta conoscere quali avventure avesse passato, quanto romantico e struggente fosse stato il grande amore dei miei genitori,sullo sfondo degli eventi bellici che li vedevano su fronti opposti.Andai allora a cercare le fotografie dei miei genitori di quell’epoca e le trovai sepolte in alcune scatole cinesi.Da qui,complice la mia passione per la fotografia,è nato il desiderio di raccontare la storia delle mie origini a Shanghai attraverso queste immagini ingiallite.

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Questa immagine rappresenta il Bund, l’arteria principale ed il simbolo di Shanghai durante quel periodo. La metropoli, era la sesta più grande del mondo e la più importante dell’Oriente. Il Bund fu la prima immagine della Cina che mio padre deve aver visto nel 1939,scendendo dalla nave “Conte Verde”, ancorata sul fiume Wan Pu. Si stabilirà definitivamente a Shanghai, dopo essere stato per due anni nella caserma di Tientsin, soggiornando sulla nave Eritrea. Ogni mattina un barcaiolo cinese lo portava alla banchina sfidando la corrente sulle acque limacciose del fiume. Da questa distanza poteva ammirare gli alti palazzi del Bund dai più vari stili architettonici. C’erano alberghi, uffici di rappresentanza, banche, locali notturni. Sui marciapiedi e nella strada si potevano incontrare frettolosi uomini di affari, cinesi arricchiti in lussuosissime macchine, elegantissime signore europee e persone di tutte le razze; Shanghai era la città più cosmopolita degli anni ’30. Negli androni dei palazzi vi sostavano anche mendicanti in attesa di qualche moneta. Dappertutto si sentivano gli odori dei rifiuti, del pesce, del fumo di carbone che si mischiavano con i profumi delle avvenenti signore.

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Le immagini di mio padre iniziano con una foto scattata durante i campionati italiani di boxe del 1939. Nella seconda foto mio padre sta accanto alla Nave Conte Verde dopo aver superato una selettiva visita medica, che gli  consentirà di arruolarsi nel Battaglione San Marco, andare per due anni in Cina ed  evitare la partenza per la guerra che sembrava imminente. In basso c’è la prima immagine di mio padre in Cina, nella caserma di Tientsin.

4-5 Ho selezionato alcune foto tra le moltissime che ho trovato, purtroppo tutte molto piccole. Sono prevalentemente ambientate a Pechino e a Shan Hai Kuan.

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Del periodo in cui mio padre risiedeva in Cina, dal 1939 in poi, non ho molte immagini di mia madre. Ho invece numerose foto,molto belle e curate, della famiglia danese di mia nonna ed i miei bisnonni Suenson. E’ per questo che ho introdotto mia madre nel racconto fotografico partendo da un bellissimo ritratto dei miei nonni, Paul e Vera. Mio nonno, che mia madre descriveva come un grande idealista, durante la prima guerra mondiale, era partito con la Legione Straniera per combattere i tedeschi in Africa. A Copenaghen lasciò mia nonna Vera, allora sua fidanzata, che lo aspettò per quattro anni, fino a quando non tornò, dopo aver trascorso un periodo in un campo di prigionia tedesca,senza un dito per via di una pallottola e senza i capelli, secondo mia madre, a causa dell’elmetto.

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Queste sono immagini della vita familiare dei miei nonni, con i loro tre figli piccoli. C’è un riuscitissimo ritratto di tre bambini, mia madre nel centro,sua sorella più grande ed il fratello più piccolo ai lati.In un’altra foto mia nonna guarda con tenerezza mia madre.

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 Ritratto di gruppo, presumibilmente risalente agli anni 40, ambientato nel parco della villa. 

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 Ho accostato una foto di mia madre in abito da sera per un ballo nell’esclusivo Circolo Francese, a quella di mio padre in posa ad una premiazione per un incontro di boxe. Benché passassero buona parte della giornata nello stesso edificio, vivevano in mondi completamente diversi. Mio padre si allenava nel piano dove c’era la palestra, la più attrezzata per la boxe a Shanghai, ad un altro piano mia madre partecipava a feste organizzate dal Club dove si ballava, fumava, si bevevano alcolici, le ragazze erano in abito lungo o vestite per una festa a tema mentre i ragazzi indossavano sempre lo stesso vestito bianco. Mio nonno stava in qualche altra parte del Circolo dove giocava e vinceva molto a bridge, contribuendo così al bilancio familiare.

Dopo l’otto settembre i marò del Battaglione S. Marco, e tra questi mio padre, furono internati dai giapponesi in un campo di prigionia per tre mesi. Dopo di che furono liberati e la maggior parte si trovò allo sbando in una Shanghai in piena crisi economica. I miei genitori riuscirono a cavarsela solo perché, contro il volere di mia madre, mio padre continuava a combattere e vincere sul ring. Chi si era ribellato ai giapponesi era finito invece nei lager in Corea ed in Giappone. I miei genitori partirono per l’Italia otto mesi dopo la fine della guerra, con la nave italiana Eritrea che recuperò e rimpatriò tutti i marò del Battaglione S. Marco sparsi per la Cina.