Data: 18 e 19 luglio 2020
Luogo: Festa per la cultura 2020 presso la scuola primaria Principe di Piemonte, Via Ostiense 263/C, Roma.
Il termine “MURALES” indica il genere di pittura divenuto celebre per il noto movimento artistico messicano degli anni Venti del ‘900, quando, sulla scia della Rivoluzione, gli artisti riscoprirono il valore sociale dell’arte e le sue potenzialità comunicative. Tra fine ‘800 e primi ‘900, nel mondo, molti artisti sembrarono riscoprire il valore della pittura murale: nacquero i grandi cicli decorativi che adornarono le sale delle mostre d’arte nazionali e internazionali, gli ambienti pubblici che si aprirono al consumo del primo turismo, come gli hotel e le terme, i palazzi comunali, le università. Si trattava di cicli murali, direttamente realizzati sulle pareti o su pannelli a esse applicati, che ebbero prevalentemente finalità estetiche. Il discorso cambiò quando l’utilizzo della decorazione murale venne associato alla comunicazione di contenuti politici e ideologici. Attraverso la sua ampia visibilità, la pittura murale può agire da supporto al rinnovamento politico e morale del paese, alla diffusione di idee democratiche ed egualitarie, in definitiva alla creazione di un nuovo Stato.
Nei murales la semplicità, spontanea o voluta del tratto, insieme alla vivacità dei colori, crea un effetto di grande immediatezza visiva verso i principali interlocutori che sono le masse popolari, la classe rurale e contadina che, indipendentemente dal livello culturale, sono in grado di interagire emotivamente con le scene ritratte.
I murales sono oggi spesso commissionati da enti pubblici ed evidenziano l’identità del luogo, divenendo anche richiamo di turismo culturale, come opera d’arte pubblica eseguita su commissione, non di rado alternativa al graffitismo senza controllo che si distingue per il linguaggio grafico notevolmente complesso giocato, nella sua forma più ortodossa, sull’elaborazione della propria firma in gigantesche scritte dai colori squillanti impresse illegalmente su muri e non solo. Inizialmente circoscritto a vagoni del treno, stazioni della metro, muri abbandonati, pareti di palazzi fatiscenti, il fenomeno oggi invade indistintamente le strade delle città, senza distinguere tra supporti di pregio e non, oscillando dagli incerti e ripetuti grafismi di sapore vandalico, al vero prodotto d’arte legato a istanze di comunicazione sociale. Dispiace constatare che in Italia si sia arrivati, per il graffitismo, alle maniere forti per ostacolarlo, ma occorre dire che in nessuna altra metropoli moderna si trovano brutti e sgraziati scarabocchi su qualsiasi muro, compresi quelli degli edifici di pregio appena restaurati.
Ritornando ai murales, tra le opere più significative si possono ricordare i muri ‘militanti’ dei portoricani in New York, dei giamaicani a Londra, dei baschi e degli irlandesi nelle loro città e paesi; ma anche quelli di altri popoli: in Cile, in Nicaragua, in Iran, in Mozambico. In Italia andrebbero ricordate tutte le grandi città per i murales degli anni ‘60 e ‘70, di cui però ben poco è rimasto, finalizzati com’erano più alla cronaca e alle tensioni sociali di quei giorni, che non destinati alla storia; ancora visibili invece, quelli dipinti sulle facciate delle case della cittadina di Orgosolo in Sardegna, “ritratti di memoria e di vita sociale”.