Fotoit di marzo: Paolo Di Paolo

di Paola Bordoni

Foto di copertina : Pier Paolo Pasolini al “Monte dei Cocci” (Roma), 1960

per gentile concessione dell’ Archivio Fotografico Paolo di Paolo

“Ho chiuso quelle porte e non sono più tornato».

Un telegramma: “Per me e per altri amici muore oggi l’ambizione di essere fotografi”. Era l’8 marzo 1966 ed il Mondo, il settimanale fondato e diretto da Mario Pannunzio, pubblicava l’ultimo numero prima della definitiva chiusura. Paolo Di Paolo, il più amato dal direttore tra il piccolo gruppo di fotografi che collaborava con il periodico, comunicava così, con scarne parole, la scelta di abbandonare la fotografia non sentendosi più in accordo con le mutazioni che stavano avvenendo nella società italiana. 

Marina Vlady a Villa Borghese (Roma),1966 Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

 E l’immagine dell’attrice Marina Vlady, ritratta a villa Borghese, pubblicata sull’ultimo numero, appare come il suo commiato, un sorridente abbraccio, da parte di chi per più di un decennio, era entrato nella rivista nel 1954, aveva offerto ai lettori con i suoi scatti una visione autentica e compiuta della trasformazione della società italiana dal post-bellico alla modernità. Con la sua capacità analitica, quasi sociologica, aveva fissato a tutto tondo, su pellicola, l’identità di un Paese raccontando in maniera essenziale la complessa ripresa economica, i difficili mutamenti sociali, l’ intensa vita culturale ma anche l’alta società, il cinema e i suoi divi.

Anna Magnani nella sua villa al Circeo 1955 Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Marcello Mastroianni a Cinecittà anni ’60 Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

L’immagine dell’inaugurazione della Autostrada Roma-Firenze unisce questa lucida capacità di racconto, di storia in se stessa conclusa  con il suo modo discreto, immediato ed emozionante di rappresentare il suo tempo. Con una scelta audace, anche per il direttore Pannunzio, invece di fotografare l’apparato ufficiale e di rappresentanza delle istituzioni, fissa di spalle il mondo contadino, l’uomo, i due ragazzi, gli animali che guardano, come uno spettacolo, quel taglio chiaro di asfalto impresso nel paesaggio della Tuscia, il nuovo rettilineo che avrebbe condotto al boom economico degli anni successivi.

Inaugurazione dell’Autostrada del Sole 1962 Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

Foto di un abbraccio per la scelta dolorosa di rinunciare a raccontare per immagini le trasformazioni della società. Anche l’ultimo editoriale dello stesso Pannunzio era stato, d’altro canto, un violento atto d’accusa contro la concentrazione del potere economico, politico e sindacale che si era consolidata nel Paese ed impediva una informazione corretta ed indipendente: “Domina soprattutto, in Italia, la presenza di un potere radicato e penetrante, di un governo segreto, morbido e sacerdotale, che conquista amici ed avversari e tende a snervare ogni iniziativa e ogni resistenza”.

Il raffinato settimanale, voce critica laica e liberale nei diciotto anni della sua vita, ebbe firme importanti dei più influenti intellettuali quali quelle di Luigi Einaudi, Thomas Mann, Ennio Flaiano, Antonio Cederna, Vitaliano Brancati. Nel giornale, che per la sua difficile lettura “aveva più scrittori che lettori”, come ricorda ironicamente lo stesso fotografo, Pannunzio ebbe un approccio decisamente innovativo nella pubblicazione di immagini in un Paese con un elevato tasso di analfabetismo, con il ricorso a fotografi amatoriali, ai quali non veniva dato incarico ma erano lasciati liberi di cercare le loro storie, con la scelta di scatti di grande formato, selezionati per essere guardati indipendentemente dai testi, immagini senza didascalie che avessero già in se stesse una narrazione, un racconto e soprattutto scatti che portavano in calce, per la prima volta, il nome dell’autore, restituendo dignità e autonomia al linguaggio visivo.

Paolo Di Paolo, con la chiusura del Mondo, compi il gesto radicale di abbandonare la fotografia non credendo più nella possibilità effettiva di compiere scelte lavorative autonome e ritenendo che mancassero ormai i margini per un impegno individuale che tangibilmente portasse ad un risultato partecipativo e costruttivo nella comunicazione visiva, valutando forze e  prospettive future. Il mondo era cambiato e non era più possibile far finta che tutto fosse come prima.

La scelta di Paolo Di Paolo, dettata non da rassegnazione ma da necessità di mantenere indipendente l’informazione, prendendo lucida coscienza del contesto socio-economico, si presenta quanto mai attuale nel malessere della attuale società, dove la crisi economica e la recentissima crisi sanitaria hanno accresciuto il senso di sfiducia e di disorientamentoindividuale con la conseguente riflessione al ribasso su quello che si vuole realizzare e quello che non si può realizzare.