di Elisabetta Manni
in copertina: Progreso – Un tempo porto di arrivo per gli immigrati coreani
Michael Vince Kim nacque a Los Angeles da genitori coreani ma dopo pochi mesi la famiglia decise di trasferirsi in Argentina. Studiò regia cinematografica presso l’Universidad del Cine di Buenos Aires e conseguì un Master in Linguistica presso l’Università di Edimburgo. Successivamente ottenne il Master in Documentary Photography presso il London College of Communication. La sua storia lo ha portato a concentrarsi sulle questioni di migrazione e identità, in particolare sulle diaspore coreane negli Stati post-sovietici con il Reportage “Far from distant shores” e in America Latina con il reportage “Aenikkaeng”. Quest’ultimo, nel 2017, vinse il primo premio nella categoria People Stories del World Press Photo Contest.
Aenikkaeng ci mostra uno spaccato di storia coreana dimenticata dagli stessi coreani. Il fotografo stesso, in un’intervista afferma che il suo reportage è sì una ricerca personale di identità ma ha anche lo scopo di portare alla luce e far conoscere la storia dei primi coreani in Messico
La parola Aenikkaeng (애니깽), infatti, è la trascrizione coreana della parola Henequen, tuttavia viene utilizzata dal fotografo per identificare i 1033 coreani che partirono nel 1905 verso il Messico, precisamente verso lo stato dello Yucatan.

Le cause che spinsero i coreani a partire sono varie: nel 1905 la Russia perse la guerra con il Giappone e quest’ultima riuscì ad ottenere il protettorato sulla Corea diventando la più grande potenza mondiale nell’area del Pacifico; nel 1910, la penisola coreana venne annessa al territorio giapponese dando inizio al periodo più buio della sua storia. I coreani capirono da subito che non avrebbero avuto altra scelta che scappare altrove; in questo li aiutò il Messico, più precisamente il Presidente Porfirio Diaz che durante il suo mandato attuò una politica espansionistica e di investimento. Ma non fu una salvezza per i coreani che migrarono in Messico; gli venne infatti proposta un’allettante offerta di lavoro in un paese paradisiaco, un contratto della durata di 4 anni che però si rivelò essere tutt’altro. Attraverso un’attenta ricerca è risultato che queste persone vennero vendute come schiavi per sopperire alla mancanza di manodopera nelle piantagioni di agave nello Stato dello Yucatán, in Messico.

Nelle foto ritroviamo tutti gli elementi che caratterizzano il racconto degli Aenikkaeng: il mare, le piante di agave, ecc. ma il soggetto principale di ogni foto è il senso di malinconia che si percepisce, soprattutto negli sguardi assenti delle persone ritratte, come se il fotografo avesse voluto marcare quella distanza dalle proprie radici. Le persone ritratte sono i discendenti dei primi coreani-messicani: Joaquin, fotografato durante la celebrazione del suo 90° compleanno, è il figlio di un coreano e una donna maya; Sandra, terza generazione, è una coreana-cubana, il suo antenato coreano si trasferì a Cuba nel 1910 dopo il termine del contratto nello Yucatán; le sorelle Olga e Adelina, appartengono ad una famiglia che è una delle poche che non ha un’eredità mista infatti i loro ascendenti erano entrambi coreani; Cecilio un musicista che porta avanti la tradizione musicale coreana rivisitata in chiave cubana, simbolo di questa doppia identità.


Tutte queste persone hanno in comune il semplice fatto di avere degli ascendenti coreani e molti di loro probabilmente non hanno mai avuto contatti diretti con la madre patria ma, nonostante tutto, persistono nel mantenere vive le loro radici, la loro identità coreana inserendola nella vita latina; la foto dell’Hanbok appeso nella stanza da letto è l’esempio più significativo, insieme al quadro delle due tigri, animale simbolo della Corea. Michael Vince Kim quindi, grazie alla fusione di questi elementi sia coreani che latini, è riuscito a rendere, attraverso la fotografia, sia la storia dei primi coreani arrivati in Messico sia quella dei successori che continuano ad onorare i loro antenati e le loro radici.


