di Paola Bordoni
Ritratto di un microcosmo familiare. Le accattivanti e colorate fotografie, ingannevolmente semplici, raccontano in un geometrico mosaico la storia e gli interessi di quattro persone unite da un legame affettivo e bloccate in una sequenza di scatti frontali, quasi giocose foto segnaletiche.
Lo sguardo del fotografo, premiato giovane Talent Scout, si poggia su uno spazio umano privato recependo, attraverso un dispositivo magico quale è la macchina fotografica, le poliedriche possibilità dei singoli individui che, nella vita quotidiana come in un teatro, impersonano e conducono una molteplicità di ruoli. Il ritratto è stato da sempre ritenuto uno degli strumenti più validi per celebrare la necessità inconscia di celebrare se stessi e gli altri, soprattutto per interpretare le identità dei soggetti rappresentati, il famoso ‘rubare l’anima’. Attraverso la rigorosa divisione del corpo, nella quale i volti vengono sempre negati, Alessandro Castellani ci mostra le diverse ‘anime’ di se stesso e dei componenti la sua famiglia.
Il risultato fotografico è una specie di stratificazione di identità di origine differente e tra loro non conflittuali; così il professionista in giacca e cravatta, nelle sue diverse ma al tempo stesso aggregate personalità, si connette con l’altro sé, l’appassionato motociclista e giocatore di calcio, l’arciere si sovrappone all’esperta di lingue straniere, lo sciatore abita nello stesso corpo del fotografo. In questi scatti c’è un investimento emotivo ed affettivo espresso attraverso una rappresentazione colorata e spontanea di un tema strettamente autobiografico che mostra un forte senso di appartenenza.
Sempre il tema di un legame forte e profondo è presente nel portfolio “Un po’ di colori”, dedicato alla narrazione astratta della terra di origine del fotografo, la Bassa Padana dove l’ambiente è dominato dalla presenza del Po. E’ una natura introversa dal respiro lento e silenzioso quella raccontata con empatia da Castellani, fatta di riflessi, arbusti, limo secco, aloni luminosi dai pallidi colori che riprendono vita solo nelle immagini dei detriti del lavoro umano, le corde, i legni delle barche. Non c’è la maestosità della natura in questi scatti, mancano i grandi spazi, il fluire del fiume, l’orizzonte, tutti quegli elementi narrativi che da sempre fanno parte integrante della rappresentazione del paesaggio. Il fotografo ricerca invece il significato nei dettagli, subordinando la visione del panorama alla composizione ed agli accordi tonali in una visione ravvicinata ed intima, convinto che le forme astratte aprano una via d’accesso alla creazione di una visione soggettiva e rivelino l’emozione profonda che scaturisce dalla consapevolezza di appartenere ad un luogo.
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