di Paola Bordoni
Da più di un mese osservo queste fotografie. Torno continuamente a guardarle. Non so dire il perché. Mi catturano. Questa è la sensazione che provo di fronte alle quindici immagini del portfolio “La mattanza”. Il mio occhio identifica immediatamente il complesso codice di gesti e segni rappresentativi del feroce, antichissimo rito della tradizione contadina della uccisione del maiale, allevato per più di un anno per essere poi macellato: la corda insanguinata, il gancio, l’ombra di una mano, il lungo coltello, il sangue rappreso. L’effetto percettivo prodotto dai contenuti e dalla sequenza delle immagini è rapido, violento e nel mio “vedere” intuisco l’invisibile, il non mostrato: le grida, la paura, la frenesia degli atti, il silenzio “in un crescendo e decrescendo di note che alternano momenti di calma a momenti di forte concitazione, come un’onda che sale e che scende”, scrive Mario Vani, autore del portfolio, presentato per il progetto Talent Scout da Silvio Mencarelli, presidente del Circolo fotografico Photosophia. Le dominanti cromatiche e l’uso del mosso accrescono l’impressione di assistere direttamente all’epifania del rito contadino, avvertendo nelle narici l’odore mescolato del sangue e del sudore, cogliendo le grida degli uomini e l’urlo dell’animale, superando il vuoto temporale tra il tempo dello scatto e quello della sua visione. Siamo testimoni anche noi, insieme ad un impassibile gatto, del transito dalla vita alla morte e della scomparsa di una cultura antica che ha avuto la sua ragion d’essere e che oggi non esiste quasi più.
Nel portfolio “La mamma” il fotografo è testimone dell’uso della macchina fotografica come mezzo tecnico, tramite attraverso il quale vedere i luoghi consueti, abituali, già acquisiti, rifiutando l’assuefazione dello sguardo, per realizzare progetti al di là degli stili e delle mode, seguendo istinto e emozioni. Staccandosi dai fumosi e spesso fosforici colori del precedente lavoro, il fotografo usa una ridotta gamma di sfumature di grigio per sintetizzare e semplificare la visione del lento fluire della vita di una mamma, impegnata nella soffocante routine quotidiana, consumata all’interno di ambienti familiari, dove anche la visione del cielo è negata dalle persiane abbassate. Il fotografo confeziona e consegna ai nostri occhi un poetico e grigio documento di un microcosmo familiare, dove si raccolgono i suoi ricordi e le sue memorie, in una fusione del tempo remoto e presente.
Nel terzo portfolio “Dioscuri” il fotografo racconta, in una lucente visione, i personaggi mitologici impegnati in una eroica battaglia. Il bianco ed il nero definiscono gli spazi mentre il denso spessore del vuoto muta il reale nell’irreale, in una dimensione contemporaneamente antica e nuova.
Tre portfolio e tre linguaggi fotografici diversi, eppure a tutti i fotografi viene indicato di scegliere un proprio stile. E se fosse proprio questo il gioco di Mario Vani? quello di non imprigionare la foto in un tratto riconoscibile ma di cambiare l’atto fotografico in base alle esigenze di contenuto?
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